Il suicidio di una ragazza di Napoli, Tiziana Cantone, in seguito alla diffusione di video a sfondo sessuale che la vedevano protagonista, ha scatenato la solita onda di indignazione da parte di giornali, politici, commentatori e gente comune. La reazione emotiva è comprensibile, ma il clima da gogna che puntualmente si ripete in casi come questo è preoccupante. La ricostruzione della tragica vicenda, per chi vuole approfondire, è trattata con dovizia di particolari (ma senza intenti “morbosi”) da Filippo Facci sul Post. Ma non è del caso in sé che vogliamo occuparci, dato che su di esso ci sono indagini in corso per capire se si possano individuare dei responsabili, ossia la persona o le persone che per prime hanno diffuso su Internet il video (poi diventato virale) della vittima.

Il clima da gogna che si è diffuso sui social e in certa stampa (televisiva e non) se la prende con chi, prima del suicidio, ha a sua volta messo alla gogna la povera Tiziana, colpevole solo di aver preso parte a un gioco di cui ha perso il controllo. Una volta distrutta moralmente la vittima in questione (derisa in ogni modo per il buffo video di cui era protagonista) con una marea di insulti e parodie, un’altra pletora di accusatori si scaglia contro gli autori di tale azione denigratoria, con la stessa ferocia e lo stesso intento di annientamento.

Il capolavoro arriva da parte di chi poi, per non pensarci più, se la prende tout court con i social e con Internet, additati come pericolose minacce alla socialità e alla cultura (che prima del loro avvento godevano di ottima salute: il linciaggio e l’ignoranza arrivano “dal digitale”, giusto?). Per farsi un’idea, suggeriamo di dare una lettura alla trascrizione effettuata da Massimo Mantellini di alcuni brani della puntata di Otto e Mezzo andata in onda il 17 settembre su La7, con ospiti Paolo Crepet e Kim Rossi Stuart (che salviamo soprattutto perché si è trovato tirato in mezzo a sua insaputa, ammettendo con grande franchezza di pensare di trovarsi lì per parlare del suo ultimo film e non di questi temi).

Il problema è che la gogna è tale in ogni caso, e se uno pensa che non sia la società civile a doversi fare giustizia da sé, ma che ci sia un sistema giudiziario e penale a doversene occupare (con tutti i suoi limiti), allora non fa e non dice certe cose. Altrimenti si arriva all’assurdo di incitare allo stalking e alla giustizia privata, additando il mostro nella convinzione di essere nel giusto. Quanti danni ha fatto nella storia l’idea di essere detentori della Verità assoluta? Il dubbio, il tentativo costante di cercare di avvicinarsi alla giustizia è un atteggiamento compatibile con le possibilità umane, autoproclamarsi giusti è disumano. «L’aggressività della folla contro un uomo è sempre violenza – scrive Salvatore Merlo in un bell’articolo sul Foglio –, un cortocircuito del pensiero, qualsiasi cosa abbia fatto o detto. Ma tutto questo, attenzione, non appartiene a Internet, che è solo uno strumento e un amplificatore (tanto più temibile perché senza confini e senza regole). La gogna in Italia è una cultura: è praticata dalla politica, è coccolata dai giornali e dalle televisioni. È uno stile comunemente accettato. Qualche anno fa Libero pubblicò in prima pagina le foto dei presunti “traditori” di Silvio Berlusconi invitando all’insulto di massa, come negli anni di Tangentopoli la Lega sventolava cappi e fotografie di presunti colpevoli in Parlamento alludendo al linciaggio, e come fino a poco tempo fa Beppe Grillo compilava liste nere esponendo persone in carne e ossa a secchiate d’insulti gettati come intestini fumanti». Non dimentichiamo, sempre su Libero, le liste di pedofili condannati con sentenza definitiva. Liste pubbliche, certo, ma qual è il fine informativo? Cos’è, se non istigazione all’insulto, all’odio, al linciaggio?

Non basta punire, bisogna annientare il nemico (non esistono più gli avversari) sotto ogni profilo. «E se questo è lo stile della politica e dei giornali non stupisce che lo sia anche della gente comune, e che dunque gente comune ne faccia pure le spese, anche togliendosi la vita». Recentemente anche la scrittrice Natalia Aspesi ha fatto l’esperienza della gogna, rea di aver ammesso di non conoscere in maniera approfondita l’opera di Ugo Foscolo. «Sono stata lapidata da una quantità inaspettata di lettere e mail. Un paio, pur deprecando, ironiche e leggiadre, le altre micidiali, tutte con lo scopo di cancellarmi dal genere umano. Anche le persone colte, o forse soprattutto le persone colte, stanno perdendo l’abitudine al dialogo, allo scambio di idee, alla voglia di sapere con pacatezza i propri perché. Oggi l’incontro è sostituito dallo scontro: la curiosità e la sapienza sono sostituiti dalla stizza e dal disprezzo». Prima di additare i social network come responsabili delle peggiori nefandezze dell’essere umano, o di pensare a politiche di diffusione di cultura digitale, è proprio questa predisposizione al dialogo e al confronto che va recuperata o promossa. Da chi però dovremmo prendere esempio? Dalla tivù, dai giornali, dalla politica? Facciamo un respiro profondo e incrociamo le dita.

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