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È un’Italia a due facce quella dell’industria culturale e turistica. Da un lato ci sono l’eccellenza e la vitalità descritte dal rapporto “Io sono cultura”, presentato qualche giorno fa alla presenza del ministro Dario Franceschini. Dall’altro c’è il far west dipinto dall’ultimo articolo di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella su Repubblica, in cui il centro storico di Roma si trasforma in un luogo senza regole, dove vige la legge del più furbo e dove i gestori di attività legate al turismo (non tutti, ovviamente) hanno un unico scopo: “spennare” il malcapitato, in cambio di un servizio di scarsa qualità. «È una specie di zona franca, il cuore archeologico del mondo – scrivono Stella e Rizzo – dominata dai potentissimi Tredicine, una famiglia che, nella scia del vecchio Donato, un abruzzese che cominciò alla fine degli Anni 50 con le caldarroste, possiede gran parte dei 69 camion-bar sparpagliati nelle zone più battute dal turismo».

Con la cultura si mangia eccome, dunque (anzi, forse dovremmo dire se magna, per rendere l’idea). Nonostante il clima caotico descritto dai giornalisti (che non riguarda solo i paninari fuori dal Colosseo ma anche ristoranti, alberghi, enti gestori di musei e aree archeologiche, ecc.), il turismo nazionale e dall’estero è in costante crescita da anni. «Dal ‘90 a oggi i turisti internazionali sono passati da 440 milioni a un miliardo e 138. Con una crescita nell’ultimo anno di 51 milioni. Fate i conti: un’accelerazione del 158 per cento. Parallelamente l’Italia è cresciuta la metà: da 26,7 a 48,6 milioni, cioè +82 per cento. Roma al contrario, anche se gli ultimi anni sono stati così così a causa dei clienti italiani in difficoltà, ha fatto il botto: in venticinque anni è schizzata da quattro a quasi 16 milioni e mezzo di arrivi. Il quadruplo. E i pernottamenti da 11 a 39 milioni».

Il fatto è che Roma è una meta quasi imprescindibile per qualunque tipo di viaggiatore, dal giovane backpacker alla famiglia con bambini, agli anziani, ecc. Quindi i gestori di servizi sanno che, comunque vadano le cose, crisi o non crisi, il giro continuerà a esserci. E allora, se possibile, meglio approfittarne. Con casi più che eclatanti: «Su tutti, svetta il caso della trattoria Passetto vicino a piazza Navona, chiusa dopo avere rifilato a due fidanzati giapponesi un conto di 695 euro di cui 115,50 di “mancia”, che i due non si erano mai sognati di autorizzare. Che senso c’è a trattare così chi contribuisce con l’11 per cento al Pil di una città non altrettanto forte su altri piani economici a partire da quello industriale?».

Non affrontiamo nemmeno il discorso alberghi, che sfoggiano quattro o cinque stelle quando il livello offerto raggiunge a malapena le due. Tanto per una serie di soggetti i controlli non ci sono, perché investire e mantenere alta la qualità? Meglio tenere alti solo i prezzi. Nell’ultima puntata di Gazebo, su Rai3, Roberto Saviano indicava come prossimi possibili obiettivi di indagini nell’ambito dell’indagine “Mafia Capitale” il cemento e la sanità. Ci permettiamo di aggiungere il turismo.

Poi c’è l’altra Italia culturale, quella che investe, innova, produce e cresce (e ci scusiamo se qui le diamo meno spazio che alla prima, ci torneremo quando sarà pubblicato il dossier “Io sono cultura” nella sua interezza). «Emerge che dalle 443.208 imprese del sistema produttivo culturale, che rappresentano il 7,3 per cento delle imprese nazionali, arriva il 5,4 per cento della ricchezza prodotta in Italia: 78,6 miliardi di euro – si legge in un comunicato diffuso da Unioncamere –. Che arrivano ad 84 circa, equivalenti al 5,8 per cento dell’economia nazionale, se includiamo anche istituzioni pubbliche e realtà del non profit attive nel settore della cultura. Ma la forza della cultura va ben oltre, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 1, 7 sul resto dell’economia: così per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,7 in altri settori. Gli 84 miliardi, quindi, ne “stimolano” altri 143. Cifre che complessivamente arrivano, come anticipato, alla soglia di 227 miliardi di euro».

Scorrendo i dati disponibili, si scopre che proprio chi ha investito di più in creatività ha ottenuto i risultati migliori in termini di incremento del fatturato (+3,2 per cento con aumento dell’export del 4,3 per cento), mentre chi non l’ha fatto ha visto quest’ultimo calare mediamente dello 0,9 per cento, con una crescita dell’export quasi nulla (+0,6 per cento). Nonostante quanto scritto nella prima parte dell’articolo, il settore turistico ci vede al primo posto per i pernottamenti di persone provenienti da Paesi extra Ue (con 56 milioni di notti). «Siamo la meta preferita dei paesi ai quali è legato il futuro del turismo mondiale: la Cina, il Brasile, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, gli Usa e il Canada». Ed è proprio a quello che dobbiamo guardare, perché al passato ci ha già pensato qualcun altro, tanto che, come osservava Voltaire nel suo Saggio sui costumi, non si capisce «Come mai in mezzo a tanti sommovimenti, guerre intestine, cospirazioni, crimini e follie ci siano stati così tanti uomini che hanno coltivato le arti utili e le arti piacevoli in Italia». Molto attuale, come tutti i grandi classici.