Una delle materie più complesse e “iper-normate” del panorama politico italiano è l’edilizia, in particolare per quanto riguarda il consumo di suolo e la ristrutturazione. Per ciò che riguarda la seconda, l’ultima legge di Stabilità ha stabilito di prorogare fino alla fine del 2016 le detrazioni in vigore da alcuni anni per gli interventi che diano luogo a un miglioramento dell’efficienza energetica degli immobili. «Le spese sostenute per il recupero del patrimonio edilizio danno diritto a una detrazione Irpef nella misura del 50 per cento – spiega Lavoce.info –, su un importo massimo di 96mila euro (la detrazione è ancora maggiore, il 65 per cento, per gli adeguamenti antisismici). È detraibile al 50 per cento anche il 25 per cento del prezzo di acquisto di abitazioni in fabbricati interamente ristrutturati. Inoltre, le spese sostenute per gli interventi di efficientamento energetico sono detraibili nella misura del 65 per cento su importi massimi variabili in base al tipo di adeguamento effettuato».
L’importanza di queste misure non riguarda solo le tasche dei cittadini, ma ha ricadute positive anche per l’ambiente, considerando che le emissioni per il riscaldamento degli edifici sono tra le principali responsabili dell’inquinamento delle nostre città (il 41 per cento delle polveri sottili, Pm10, vengono da lì secondo i dati Ispra). Purtroppo questo processo è rallentato dal ricco e frastagliato panorama normativo degli enti locali. Ogni regione e ogni comune ha regole leggermente diverse in materia di richiesta dei permessi, classificazione degli interventi, ecc. È un apparato burocratico che avrebbe bisogno di un’uniformazione dall’alto, con una legge nazionale che armonizzi la normativa su questo tema; oppure di un intervento concertato degli enti locali che riesca a rimuovere gli ostacoli che disincentivano cittadini e imprese dall’intraprendere lavori di ristrutturazione.
Questione forse più delicata è quella del consumo di suolo, sulla quale si giocano interessi grandi e contrapposti. Da un lato c’è quello ecologico di gestire in maniera equilibrata le aree destinate ad agricoltura, urbanizzazione, infrastrutture e aree naturali. Dall’altro c’è l’interesse di chi vuole aree edificabili sempre nuove in modo da allargare il proprio business edilizio. Il processo di riforma di questa materia è stato lanciato dal governo presieduto da Enrico Letta – spiega un altro articolo della stessa testata – e prevede che alla fine della discussione in Parlamento sia un decreto del Ministero delle politiche agricole (d’intesa con i ministeri dell’Ambiente, dei Beni culturali e delle Infrastrutture), a determinare «la riduzione progressiva vincolante, in termini quantitativi, di consumo del suolo a livello nazionale». Stabilire una «progressiva riduzione» è cosa diversa dal fissare «l’estensione massima di superficie agricola consumabile sul territorio nazionale», come si proponeva di fare un progetto di legge presentato dal governo di Mario Monti, a cui poi non si è dato seguito. Nel primo caso l’obiettivo è ridurre il ritmo con cui ogni anno si sottrae suolo alle attività agricole, mentre nel secondo si arriva a fissare un limite oltre il quale il territorio non è più edificabile, costringendo quindi a un utilizzo più mirato delle aree già urbanizzate. «Probabilmente – riflette Raffaele Lungarella – sul versante della comunicazione e del consenso politico, dire che il consumo di suolo si riduce di un X è più accattivante dell’affermare che, nello stesso arco di tempo, si consuma la quantità Y di nuovo suolo, anche se la prima procedura può portare a un consumo molto superiore della seconda».
Certamente è più praticabile la via della riduzione progressiva, anche perché stabilire una quantità massima di superficie edificabile e ripartirla in maniera omogenea all’interno del Paese non è cosa facile. Restano però numerose le criticità dell’operazione, che andrebbe declinata in maniera proporzionale secondo le caratteristiche e la storia di ogni territorio. Il rischio, secondo Lungarella, è che calcolando la riduzione del consumo sulla quantità di suolo consumato negli anni, a essere premiate (con una possibilità di consumo maggiore in futuro) siano proprio quelli che hanno edificato di più: «Per illustrare il paradosso, supponiamo che si decida una riduzione del consumo di suolo del 10 per cento in un dato periodo; e che nei comuni A e B il consumo di suolo, nell’arco temporale preso a riferimento, sia stato rispettivamente di 50mila e 10mila metri quadrati. Nel comune A si risparmiano 5mila metri quadri di terreno agricolo ma si continuano a utilizzarne 45mila, mentre nel comune B i metri quadri sono rispettivamente mille e 9mila». La materia, come si diceva in apertura, è complessa e ci sono già tante leggi a complicare il quadro normativo che la regola. Ci auguriamo che si proceda con giudizio su un tema che ci vede già in una situazione difficile.
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