Un medico si trova tutti i giorni a destreggiarsi tra l’incertezza insita nel suo lavoro e la richiesta di certezza da parte dei pazienti. Un’interessante riflessione sul tema da parte del medico Daniele Coen su Domani.
Anche quest’anno assistiamo a commenti e recriminazioni dopo che sono stati resi noti i risultati dell’esame per l’ammissione alle facoltà di Medicina: 56.775 studenti hanno svolto l’esame e solo 28.793 sono risultati idonei.
Rispetto agli anni precedenti, nel test c’erano meno domande di logica e di cultura generale e più domande di chimica, fisica e biologia. Molti medici, tra i quali noti professori universitari, non hanno avuto difficoltà ad ammettere che non sarebbero stati in grado di superarlo. Questo probabilmente perché, tranne in alcune branche, biologia, chimica e fisica hanno poco a che fare con il lavoro quotidiano del medico e vengono presto dimenticate.
Sono invece richieste altre competenze fondamentali: capacità di studio e aggiornamento continuo, capacità logico-statistica e capacità di relazione. Volendo, potremmo aggiungere la capacità di convivere con l’incertezza.
Senza risposte certe
Paradossalmente infatti, nonostante i grandi avanzamenti della tecnologia e le centinaia di migliaia di studi e ricerche che vengono pubblicati ogni anno sulle riviste mediche internazionali, si calcola che solo il 20-30 per cento dei problemi ai quali un medico si trova di fronte nella sua pratica quotidiana abbia risposte certe o, come si dice oggi, basate sulle evidenze.
Matematica, chimica e fisica sono scienze esatte. La medicina no. Come diceva William Osler, uno dei padri della medicina moderna, «è la scienza dell’incertezza e l’arte della probabilità» e tale resterà a lungo, nonostante gli avanzamenti delle conoscenze e dell’intelligenza artificiale. Per esempio, sappiamo molto meno di quanto vorremmo sul trattamento dei grandi anziani, che sono spesso esclusi per principio dagli studi clinici, e solo negli ultimi anni abbiamo cominciato a capire che esistono importanti differenze tra uomini e donne nelle manifestazioni di malattia, nella risposta ai farmaci, nei bisogni di cura e di prevenzione.
Anche le donne, peraltro, sono da sempre poco rappresentate negli studi e nelle ricerche di ambito medico, a causa della loro biologia “variabile” con il ciclo mestruale, del “rischio” di gravidanza in corso di studio, della loro maggiore suscettibilità agli effetti collaterali dei farmaci (che non fa piacere all’industria che li produce). Poco si sa, e quasi nulla si insegna nelle facoltà di Medicina, sulle scelte difficili, sulla comunicazione con i pazienti e i loro familiari, sulla desistenza, sul fine vita.
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