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Dopo tanta attesa per vederlo stabilizzato e reso più generoso, ora si rischia di stravolgerlo per colpa di un’idea sbagliata. Stiamo parlando del 5 per mille e dell’idea annunciata dal governo di ampliare la platea dei beneficiari aprendo alle scuole. La proposta è arrivata direttamente dalla bocca del presidente del Consiglio Matteo Renzi durante l’ultima convention del Pd, e l’articolo sarebbe contenuto nella bozza del decreto “Buona scuola”. Senza modificare l’ammontare del fondo disponibile per il 5 per mille, si vorrebbe aggiungere un riquadro a quelli già presenti nel modello per la dichiarazione dei redditi, in modo che il contribuente che voglia destinare il 5 per mille del suo gettito fiscale possa decidere di devolverlo anche alla scuola (non la scuola in generale, ma una in particolare di cui dovrà indicare i dati).

I contro di questa iniziativa sono vari. Da un lato, ovviamente, si penalizzano gli attuali beneficiari, che dovranno dividere la torta con il doppio degli “invitati”. Il Sole 24 Ore illustra il conteggio: «Del gruppo fanno parte gli enti del cosiddetto volontariato (Odv e Onlus), le associazioni di promozione sociale e le associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di attività delle Onlus: per un totale di circa 39mila soggetti a cui vanno sommati gli enti della ricerca scientifica e dell’università (circa 420 circa), quelli della ricerca sanitaria (di solito un centinaio) e dei beni culturali (una ventina), le associazioni sportive dilettantistiche (più o meno 7mila) e gli 8mila comuni italiani […]. Aggiungere “le istituzioni scolastiche statali” a questo elenco – come fa l’articolo 28 del Dl “Buona Scuola” – significa sommare a quella preesistente una platea nuova di zecca dalle dimensioni pressoché identiche (le circa 46mila scuole italiane) e da un appeal molto forte presso le famiglie italiane». Inutile dire che è molto probabile che in molti saranno spinti a destinare il 5 per mille a favore della scuola frequentata dai propri figli, per esempio, piuttosto che a qualsiasi altro ente attualmente previsto.

Si istiga, come tante altre volte, una “guerra tra poveri”, in lotta per aggiudicarsi un fondo già di per sé non enorme. Il problema è che la sussidiarietà non può essere invocata per la scuola dell’obbligo perché, come ricorda Carlo Mazzini su Quinonprofit, c’è un articolo della Costituzione, il numero 34, che ne tutela la gratuità. Il fatto che alle famiglie sia chiesto, in molte realtà, di contribuire con delle quote per l’acquisto di dotazioni essenziali e non, non giustifica il fatto che si introduca un dispositivo che, lungi dal rimettere a posto gli equilibri, porterebbe uno sbilanciamento a favore di chi ha redditi più alti. Il 5 per mille è infatti proporzionale al reddito dichiarato, e da esso dipende l’entità della quota destinata all’ente prescelto dal contribuente. «L’autonomia (mai parola fu tanto usata fuori luogo) produrrà i seguenti effetti – scrive Mazzini su Vita –: la scuola di Scampia avrà così pochi fondi dal 5 per mille da non riuscire neppure a comprarsi i gessi per le lavagne, mentre nella scuola pubblica di via Montenapoleone ogni alunno sarà fornito di un Ipad tempestato di diamanti». Un po’ esagerato forse, ma rende l’idea.

Tra l’altro, se è compito dello Stato provvedere al finanziamento delle scuole, vuol dire che parte delle tasse che paghiamo sono già destinate a quella finalità. Non si vede perché si dovrebbe istituire un ulteriore fondo volontario. Pardon, è vero, non si istituisce nessun nuovo fondo, è solo uno spostamento di risorse già previste. Davvero non capiamo se si tratti di una “sparata” che abbia il solo fine di generare titoli sui giornali (e articoli allarmati come questo) o se ci sia dietro un vero progetto. In ogni caso, ci chiediamo quale sia il senso di tutta l’operazione.