Nei giorni scorsi l’Ansa ha diffuso una notizia fatta circolare dalla Società italiana di chirurgia: «Nel 2020 sono saltate 400mila operazioni e si contano oltre 1,3 milioni i ricoveri in meno rispetto al 2019. I ricoveri di chirurgia hanno visto una contrazione vistosa ed una diminuzione di circa l’80 per cento dell’attività elettiva». E anche ora che la situazione è ovunque sotto controllo quelle operazioni rimandate pesano: «Adesso abbiamo ripreso a svolgere attività normale – ha detto Francesco Basile, direttore di Clinica chirurgica al Policlinico di Catania e presidente della Società Italiana di Chirurgia – ma le liste di attesa si sono allungate e abbiamo bisogno di trovare delle soluzioni per poter garantire in tempi brevi l’intervento chirurgico ad ogni paziente. Il ritorno alla piena normalità, che ci auguriamo avvenga il più velocemente possibile, passa per forza di cose dalle vaccinazioni. Più persone si vaccineranno e più sarà concreta la possibilità di non dover tornare indietro con chiusure e riduzione delle attività cliniche». È un problema su cui avevamo posto l’attenzione già nei mesi scorsi, e assieme a noi molti esponenti del mondo della sanità.
Ieri il Corriere presentava a pagina 11 la sintesi di un dossier sulla pandemia pubblicato dall’Istituto superiore di sanità (Iss). Se ancora ci fossero dubbi sull’importanza della campagna vaccinale nella lotta al COVID-19 (e quindi al ritorno alla normalità cui fa cenno Basile), potrebbero svanire quando si legge che le uniche fasce di età in cui si rileva un lieve rialzo dei contagi e delle ospedalizzazioni sono quelle degli “under 20”: «Se si scorporano le 5 fasce tra zero e 19 anni, quella tra 3 e 5 anni e? l’unica in leggero incremento di contagi nell’ultima settimana rispetto alla precedente. I ricoveri, invece, pur continuando a essere un’eventualita? rara nei bambini (dallo 0,9% tra i 16 e i 19 anni all’11,5% dei lattanti) e? in crescita negli under 20».
Ma i dati più importanti sono quelli della protezione garantita dal vaccino. Non stiamo parlando di sperimentazioni su campioni di popolazione o di indagini preliminari, bensì dell’analisi dei dati sulla popolazione italiana alla luce delle informazioni raccolte dopo che milioni di persone si sono vaccinate: «Il vaccino anti Covid – si legge nell’articolo –, come tutti gli altri, non protegge al 100% ma è capace di costruire una barriera molto alta. Se si effettua il ciclo completo difende all’88% dall’infezione, al 94% dal ricovero in ospedale e al 97% da quello in terapia intensiva, al 96% dall’esito fatale della malattia. La “forza” preventiva è indiscutibile: la doppia inoculazione evita la morte dal 92,7 al 95,2% dei casi, a seconda dell’età, e il ricovero in terapia intensiva per oltre il 95%». In generale si conferma il miglioramento del quadro generale, e inoltre le autrici del pezzo rilevano che «Cala, ed è la prima volta da settimane, il tasso di occupazione dei letti sia nei reparti ordinari (dal 7 al 6%) sia nelle terapie intensive (dal 6 al 5%). Giù anche i decessi: 52 al giorno in media, contro i 57 dei sette giorni precedenti».
Mettendo assieme il dato sulle operazioni chirurgiche rimandate e il report dell’Iss, emerge come la scelta sul vaccinarsi o meno, per quanto libera, non si possa più considerare una questione individuale. Nel 2020 i vaccini non c’erano, e quindi per evitare il collasso del sistema sanitario si è dovuti ricorrere a una serie di lockdown lunghi e difficili. Ma oggi che i vaccini ci sono, e che i lockdown non sono più una soluzione sensata né accettabile, la responsabilità sull’aumento dei ricoveri poggia anche sui comportamenti individuali. Se tutti coloro che possono vaccinarsi lo fanno, alla progressiva ripresa delle attività sociali non corrisponderà un aumento dei ricoveri, e quindi i reparti di chirurgia potranno operare a pieno ritmo, nel tentativo di recuperare l’enorme arretrato accumulato. Se invece molte persone rimandano, indugiano, rifiutano, l’inevitabile conseguenza sarà un aumento dei contagi, e quindi dei ricoveri, con un inevitabile rallentamento del ritorno alla “normalità”. Ferma restando dunque la libertà di ognuno, è però opportuno ragionare sul fatto che si tratta di una scelta che, per quanto individuale, ha anche una pesante ricaduta collettiva.
Un’alta partecipazione alla campagna, peraltro, non potrà che essere uno strumento di pressione da parte della società civile nei confronti del governo. Tra le attività su cui maggiormente l’esecutivo sta temporeggiando, ci sono lo sport e la cultura. Per cinema e teatri vigono ancora forti restrizioni, mentre si stanno velocemente ridimensionando quelle relative alla ristorazione, ai trasporti e ai luoghi di lavoro. Se la protezione data dai vaccini è alta, e tutti si vaccinano, allora avrà senso chiedere che la linea più “rigorista” sia progressivamente abbandonata e si passi finalmente alla famigerata “fase della convivenza con il virus”.
(Foto di Forest Simon su Unsplash)
Può funzionare ancora meglio
Il sistema trasfusionale italiano funziona grazie alle persone che ogni giorno scelgono di donare sangue, per il benessere di tutti. Vuoi essere una di quelle persone?