Sono tante le questioni aperte in Parlamento mentre è già cominciata la pausa invernale, ma già da tempo si è deciso di rimandare al nuovo anno alcune delle più importanti, tra cui una che doveva essere approvata entro la fine dell’anno: la legge sulle unioni civili. Di fronte alla possibilità che l’anomala alleanza di governo tra Pd e Ncd potesse scricchiolare, alla fine si è deciso di non mettere sul tavolo un tema così controverso a fine anno. Che poi, di controverso c’è poco, visto che da un certo punto di vista si tratta semplicemente di eliminare una discriminazione ed estendere dei diritti civili anche a coppie che non siano formate da persone di sesso opposto. Forse non è un caso che in questo periodo i media in generale stiano lasciando da parte questo tema, proprio per non interferire con l’agenda di governo, che evidentemente ha altre priorità. Non abbiamo dubbi che alla fine si arrivi all’approvazione di una legge, Matteo Renzi non è il tipo da fare promesse e poi dimenticarsene. Il problema è come queste vengono mantenute.

L’esecutivo in carica ci ha abituati ad annunci di riforme e “passi avanti epocali” nella gestione dello Stato, ottimi per i titolisti a caccia di concetti semplici e facilmente comunicabili, possibilmente con toni sensazionalistici. La sostanza si è però spesso rivelata meno consistente delle promesse, con riforme molto meno rivoluzionarie di quanto anticipato, giustificate da difficili mediazioni tra posizioni diverse nella maggioranza. La magra consolazione che ci viene proposta è poi sempre quella di aver “mosso qualcosa” su materie che per i governi precedenti erano tabù. Così però non si va da nessuna parte. È facile prevedere che alla fine la legge sulle unioni civili ci sarà, ma prevederà solo un cambiamento di facciata, senza andare a toccare le questioni davvero importanti. Su tutte, quelle economiche (reversibilità della pensione, diritto all’eredità), oltre alla più scottante, ossia la possibilità di accedere all’adozione da parte di coppie gay. Sarà più o meno un registro, una banca dati che raccoglierà l’elenco delle persone che avranno quindi la possibilità di andare in Comune a registrare la propria unione. Sarà “concessa” la gioia di condividere quel momento simbolico con amici e parenti ma poi, passata la sbornia, cambierà poco nella coppia.

Il “momento simbolico” sarà la vittoria della politica, supportata dai servizi giornalistici che andranno a riprendere le prime coppie civilmente unite della storia repubblicana, con tanto di baci, abbracci, e rapide interviste da «giorno più bello della mia vita». Poi la vita proseguirà più o meno come prima, con le stesse difficoltà e la stessa frustrazione per diritti negati che in sempre più Paesi sono la normalità. Saremo pessimisti, disfattisti, tutto quello che volete, ma se ci sentiamo di fare questa amara previsione è perché abbiamo assistito con attenzione a quanto fatto finora dalla politica che “cambia verso” alle cose. Il letargo non si porterà con sé solo le unioni civili.

È lunga la lista dei temi “rimandati a gennaio”. Ne fa un parziale elenco Francesco Maesano, in un articolo per La Stampa: «Prendiamo ad esempio il reato di tortura. Il rimpallo tra le due Camere dura da marzo 2014. “Subito lo ius soli. Credo che La Pira apprezzerebbe, ma, indipendentemente da questo, è urgente e necessario farlo. Cambiamo verso alla Bossi-Fini”, scrisse Matteo Renzi il 26 novembre 2013. Quella legge è in commissione Affari costituzionali del Senato e attende di arrivare in Aula come quelle sull’omofobia, in commissione giustizia dal 25 settembre 2013, o sul reato di tortura, di cui si diceva prima, approvata alla Camera il 9 aprile, tornata al Senato in commissione giustizia il 10 luglio 2015. Ma non ci sono solo i diritti nella lista dei revenants che tormentano Palazzo Madama. C’è anche la riforma della prescrizione e quella del terzo settore, che il governo aveva indicato come una priorità dopo lo scandalo di Mafia Capitale che ha coinvolto le coop: è arenata in commissione con data prevista di approdo in aula nella primavera del 2016». La lista potrebbe continuare ma, detto questo, l’unico augurio che ci possiamo fare per l’anno prossimo è che politicamente sia, se non migliore, almeno diverso da quello appena trascorso.

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