Le abitudini culturali degli italiani si dividono tra chi legge (pochi), chi non legge (la maggior parte) e chi vorrebbe leggere, ma non può farlo. Nel nostro Paese ci sono circa 130mila persone che ricevono un’indennità per cecità totale o parziale, e per loro non è sempre facile accedere a un diritto fondamentale come quello alla lettura. Questo perché non esiste una specifica eccezione al diritto d’autore che permetta di realizzare liberamente (cioè senza chiedere il permesso agli autori) copie di opere in formati destinati alla consultazione (quindi senza scopo di lucro) da parte di persone con disabilità.
Una possibilità che potrebbe realizzarsi se l’Italia e altri Paesi dell’Unione europea si decidessero a ratificare il Trattato di Marrakesh, siglato nel 2013 e sottoscritto dall’Unione europea nel 2014. La novità fondamentale rappresentata da questo accordo sarebbe proprio quella di eliminare la necessità di trovare accordi con i proprietari del diritto d’autore, cosa che è invece prevista dalla normativa italiana. Mancano però all’appello sette stati affinché il Trattato abbia forza di legge e, purtroppo, tra questi figura anche l’Italia (oltre a Spagna, Portogallo, Germania, Svezia, ecc.).
Per capire l’entità del problema, basti dire che globalmente «solo il 5 per cento delle opere è in formato accessibile per i disabili (dato fornito dall’Unione Mondiale dei Ciechi, World Blind Union) – scrive il sito ValigiaBlu –. Le persone con disabilità visiva difficilmente possono accedere alle informazioni, con un ovvio impatto sull’istruzione e quindi sull’occupazione, così portando tali persone a più alti tassi di povertà». Nonostante l’Italia sia dotata di un buon numero di testi in formato audio e braille a disposizione per consultazione, l’abbattimento della questione del copyright e l’allargamento del numero di enti autorizzati a effettuare conversioni del formato avrebbero un immediato giovamento sulla diffusione della cultura: «Nella normativa italiana [tali enti] sono molto più limitati, riferendosi solamente alle associazioni e federazioni di categoria rappresentative dei disabili, che non perseguono scopo di lucro. Nel Trattato la categoria degli enti autorizzati è molto più ampia, ricomprendendo anche biblioteche generaliste con un programma mirato alla promozione dell’accessibilità».
Altro punto fondamentale è garantire lo scambio di opere già convertite tra Paesi, cosa al momento resa difficile dalle diverse leggi in vigore in ciascuno Stato. Con la sottoscrizione, questo ostacolo sarebbe rimosso: «Il Trattato, al fine di facilitare la distribuzione dei libri, autorizza le organizzazioni e le biblioteche dei disabili a condividere le proprie raccolte di titoli accessibili con altre comunità di disabili di altri paesi, con ciò determinando anche un significativo risparmio di spesa, evitando la realizzazione di opere accessibili già realizzate in altri paesi (e con vantaggio dei paesi più poveri che non possono permettersi la realizzazione di opere di questo tipo)».
L’Unione italiana ciechi e ipovedenti (Uici) ha espresso in un comunicato il proprio pressante invito al governo italiano affinché si dimostri più celere nell’accogliere un’istanza che attende da quasi tre anni di essere accolta: «L’Uici non riesce a comprendere le ragioni per cui l’Italia, che ha una legislazione particolarmente avanzata riguardo alle eccezioni al diritto d’autore in favore delle persone disabili, abbia assunto in seno al Consiglio dell’Unione europea una posizione chiaramente contrastante con le esigenze delle persone non vedenti in Europa e nel resto del mondo». Mentre secondo i vertici dell’associazione è in atto un disegno per impedire deliberatamente l’accesso alla cultura alle persone non vedenti, ci permettiamo di rifiutare l’idea di un disegno così inutilmente sadico. Temiamo siano invece la mancanza di impegno, sensibilità e organizzazione (il che non è quindi meno grave) a impedire alla politica italiana di farsi carico del problema.
L’operazione peraltro sarebbe a costo zero per le casse dello Stato, dunque non si capisce il perché di tale prolungata esitazione. La Convenzione Onu per il diritto delle persone con disabilità (questa sì, ratificata anche dall’Italia) prescriverebbe un comportamento ben diverso.
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