È in arrivo una direttiva anti corruzione, elaborata di concerto dal Ministero dell’economia e delle finanze (Mef) dall’Autorità nazionale anticorruzione (Anac). L’ha anticipata ieri Repubblica e si tratta di un decalogo con le nuove regole in materia di pubblicità rispetto alle operazioni effettuate dalle società pubbliche. La novità è che «Si applicherà subito alle aziende non quotate sotto il diretto controllo del Mef e, tra qualche settimana dopo un confronto con la Consob, anche alle quotate». Le due direzioni in cui sembra andare il nuovo dispositivo, a leggere il resoconto, sono un maggiore sforzo verso la pubblicità degli atti e la “novità” della rotazione dei dirigenti. La prima è una politica perseguita già da molto tempo, che è giusto proseguire e ampliare se possibile. Ma non è il cardine attorno al quale si può arginare il fenomeno della corruzione. La seconda è una riedizione di una cosa già prevista: «La legge 190/2012, legge anticorruzione, la prevede già da oltre due anni – scrive Luigi Oliveri su Lavoce.info –. È chiara l’assenza di un apparato efficiente di controllo. Vero che la legge 190/2012 impone ad ogni amministrazione di dotarsi di un responsabile della prevenzione della corruzione. Tuttavia, tale soggetto è nominato dai vertici politici, quelli che dovrebbe controllare».
Il problema, come spesso accade in Italia, non è tanto fare nuove leggi, ma applicare quelle che ci sono, e quindi attuare sistemi di controllo efficaci. Nella fattispecie, c’è già un ente che potrebbe occuparsi di questo, anche se andrebbe potenziato, ed è proprio l’Anac. «Occorre trasformare l’Anac in una struttura dotata di poteri di controllo preventivo – suggerisce Oliveri –, magari non pervasivi e a campione, sugli atti a rischio (capitolati, bandi di gara, nomina delle commissioni, contratti, atti di concessione, erogazione di contributi, concorsi pubblici)». Si tratterebbe insomma di dare maggiore operatività a un ente che esiste già, piuttosto che crearne uno nuovo, come invece propone il nuovo codice: «La direttiva pone vincoli rigidi – scrive Repubblica –: sarà creato un ufficio ad hoc per dare pareri “sull’attuazione del codice in caso di incertezze”; sarà previsto “un apparato sanzionatorio”; nascerà “un sistema per raccogliere le segnalazioni sul codice violato”». Più che altro bisognerebbe vigilare sul fatto che il sistema di leggi attuale sia rispettato, altrimenti continueremo a muoverci in un proliferare di codici che non portano a nulla.
Pubblicità e rotazione dei dirigenti sono misure interessanti, ma è il controllo, soprattutto quello preventivo, lo strumento che potrebbe evitarci in futuro altri Expo, Mose, Mafia capitale, ecc. «I controlli rendono di per sé più difficile la vita a corruttori e corrotti – ricorda Oliveri –. I primi, infatti, sarebbero consapevoli di non poter limitarsi all’accordo illecito con un solo soggetto, ma dovrebbero estenderlo anche ad altri. Il che rende oggettivamente più complessa la trama illecita. I dirigenti esposti alla corruzione, sapendo che i loro atti sono passati ad un vaglio di un soggetto terzo, ovviamente subirebbero una deterrenza ben più forte di norme generali e astratte, per altro non applicate. I controlli, ancora, sono necessari perché utili a supplire all’assenza di concorrenza dell’attività pubblica. L’amministrazione rischia di incancrenire le proprie attività, perché non esposta al controllo indiretto del mercato e dei clienti, che ne giudicano l’operato. L’interposizione di strumenti di verifica preventiva della correttezza dell’azione è fondamentale, per riorientare l’azione amministrativa, nell’equilibrio tra il rispetto delle fondamentali direttive politiche e l’impiego degli strumenti tecnici per attuarle». Che poi, se di codice si tratta, quale sarà il suo valore giuridico? Sarà recepito dal Parlamento attraverso una legge o resterà un documento di indirizzo privo di valore legale? In quest’ultimo caso, temiamo che la nuova direttiva sia destinata a restare sulla carta.