Siamo ormai abituati a pensare che il fenomeno dell’accoglienza dei rifugiati interessi principalmente i paesi più ricchi. La politica e i media dipingono spesso la migrazione come uno spostamento che va da una serie di paesi di origine, verso dei paesi di transito, e infine di destinazione, normalmente identificati con l’Europa occidentale, gli Stati Uniti e pochi altri paesi del “nord globale”.

In realtà si sa da tempo che non è così. La maggior parte delle migrazioni “involontarie” avviene all’interno dello stesso paese, o verso paesi confinanti. I primi paesi di accoglienza in termini assoluti sono Iran, Turchia e Colombia, rispettivamente con 3,8, 3,3 e 2,9 milioni di rifugiati ciascuno. Solo al quarto posto arriva la Germania, con 2,6 milioni, seguita dal Pakistan con 2 milioni. Sono i numeri contenuti nell’ultimo report dell’UNHCR, contenuti nel database dell’istituzione dell’ONU.

Il numero di persone in cerca di protezione è in aumento a livello globale. Sempre secondo l’UNHCR, a fine 2023 si è raggiunta la cifra record di 117,3 milioni, che nel 2024 hanno già superato i 120 milioni. Nel 2022 erano otto milioni in meno, e la crescita da allora è stata costante.

Come si diceva, la maggioranza di queste persone (68,3 milioni) è costituita da rifugiati interni. Si tratta, come spiega un articolo su Welforum, di persone molto fragili. Spesso famiglie che fuggono da pericoli contingenti, che preferiscono non allontanarsi troppo dai luoghi d’origine nella speranza di ritornarvi. A queste non si applicano le convenzioni internazionali sul diritto d’asilo, quindi sono addirittura meno tutelate dei rifugiati che lasciano il proprio paese.

“Il secondo gruppo (31,6 milioni) – spiega Welforum – è quello dei rifugiati internazionali riconosciuti come tali e assistiti dall’UNHCR, a cui bisogna aggiungere 6,9 milioni di richiedenti asilo: persone che hanno attraversato un confine di Stato e chiesto protezione alle autorità di un altro paese, ma non hanno ancora ricevuto una risposta e quindi si trovano in una condizione di attesa, una sorta di limbo legale. Un terzo gruppo comprende “le altre persone bisognose di protezione internazionale”: soprattutto venezuelani riparati all’estero, privi di una chiara definizione del loro status. Un caso particolare è infine quello dei 6 milioni di palestinesi, rifugiati nel loro stesso paese, la cui tutela è affidata a un’altra agenzia dell’ONU, l’UNRWA”.

La maggior parte delle persone che hanno lasciato il proprio paese in cerca di asilo provengono dall’Afghanistan, cui seguono i siriani. Al terzo posto un gruppo di cui normalmente non si parla molto, ossia i venezuelani, che scontano gli effetti delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Come paesi di origine seguono l’Ucraina, per motivi legati all’invasione militare della Russia, e il Sudan, a causa della guerra civile in corso.

Il 75 per cento dei rifugiati è ospitato in un paese a medio o basso reddito. Il 21 per cento in un paese povero, il 17 per cento in un paese poverissimo. Solo uno su quattro ha quindi cercato riparo in un paese sviluppato. “Non è un dato nuovo – commenta Welforum –, ma non smette di stupire la distanza tra la narrazione dell’invasione e del sovraccarico di rifugiati (rappresentati per di più come protagonisti di un’immigrazione irregolare) e i dati pubblicati da UNHCR. […] Le autorità politiche e le opinioni pubbliche dei paesi più prosperi non solo accolgono meno rifugiati dei paesi meno dotati di risorse, ma continuano a essere convinte del contrario: cercano di esternalizzare gli obblighi di protezione verso i paesi confinanti, come confermano il nuovo Patto su immigrazione e asilo dell’UE e i finanziamenti destinati a Tunisia, Egitto, Turchia, Libia, nonché l’accordo Italia-Albania”.

(Foto di Sam Mann su Unsplash)

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