Alcuni giorni fa sono state presentate le ultime stime nazionali sulla mortalità materna, che risulta diminuita da 11 a 8,3 decessi ogni 100 mila nati vivi nel periodo 2011-2019.
«Si tratta – ha sottolineato Serena Donati, che dirige il reparto Salute della donna e dell’età evolutiva dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – di una riduzione statisticamente significativa del rapporto di mortalità materna, che testimonia il grande investimento del Paese nel miglioramento della qualità dell’assistenza alla nascita. Il dato presenta tuttavia una forte variabilità per area geografica, sottolineano i ricercatori, con un gradiente Nord-Sud a sfavore del Mezzogiorno. La stima è infatti pari a 7,7 su 100 mila al Nord, 5,9 al Centro e 10,5 al Sud».
I dati hanno evidenziato anche quali sono le principali cause responsabili del decesso: «Sul totale dei decessi entro 42 giorni dall’esito della gravidanza, la maggioranza (55,1%) ha riguardato morti dirette, ossia quelle dovute a complicanze ostetriche. Tra queste l’emorragia ostetrica figura al primo posto per frequenza (37,1%), seguita dalla sepsi (13,9%), dai disordini ipertensivi della gravidanza (13,4%) e dalla trombo-embolia (11,9%). L’analisi ha permesso di descrivere anche le cause indirette di morte materna, ovvero quelle secondarie a patologie preesistenti complicate dalla gravidanza. Tra queste, la patologia cardiaca è la prima per frequenza (28,8%), seguita dalla sepsi e dal suicidio materno, entrambe pari al 15,9% del totale dei decessi».
La proporzione di morti definite come “evitabili” è risultata pari al 41% del totale. Un dato che, da non addetti ai lavori, colpisce per il suo valore in termini assoluti, che fa pensare come ci sia un ampio spazio di intervento per ridurre ulteriormente questi eventi. In realtà, l’Istituto superiore di sanità, che ha pubblicato questi dati, spiega che la quota è «leggermente inferiore rispetto all’ultima rilevazione e in linea con quanto riportato in altri Paesi dotati di un sistema di sorveglianza avanzato».
Durante il convegno nel quale sono stati presentati questi risultati, si è parlato anche di un altro studio che riguarda l’ospedalizzazione della maternità durante la pandemia di Covid-19. «I Paesi che hanno applicato misure più rigide, come l’Italia – spiega l’ISS –, hanno registrato minori esiti negativi in gravidanza rispetto a quanto accaduto in contesti come quello svedese, in cui sono state adottate misure meno restrittive per la popolazione». Inoltre l’Italia ha partecipato uno studio che valutava la qualità dell’assistenza ricevuta dalle donne in gravidanza durante la pandemia. «Specie nel Sud del Paese, molte di loro hanno dovuto rinunciare ad avere una persona di fiducia in sala parto (in Italia, in media, solo il 37,5% delle donne ha avuto questa opportunità) e sono state separate dai propri bambini alla nascita, spesso senza poter praticare il contatto pelle a pelle».
Molto importante si è confermato il ruolo della vaccinazione per tutelare la salute delle madri. «Tra le donne per le quali tale informazione era disponibile – scrive l’ISS –, il 55,0% aveva ricevuto almeno una dose di vaccino, condizione più frequente tra le meno giovani e le più istruite. In linea con la letteratura internazionale, le donne vaccinate rispetto alle non vaccinate hanno avuto una riduzione significativa sia dei sintomi da infezione da SARS-CoV-2 che della frequenza di polmonite e malattia grave da COVID-19».
(Foto di Alex Hockett su Unsplash)
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