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La tragica vicenda che ha portato alla morte del giovane Davide Bifolco, 17enne di Napoli rimasto ucciso dalla pallottola sparata da un carabiniere nella notte del 4 settembre, ha dato luogo a numerose reazioni e commenti. Il ragazzo si trovava su uno scooter con altri due ragazzi, il che ha insospettito una pattuglia che si trovava nei paraggi. All’alt delle forze dell’ordine, secondo le ricostruzioni dell’Arma, i tre non si sono fermati, dando luogo a un inseguimento finito con la perdita di controllo del mezzo da parte del conducente. Questi è poi riuscito a far perdere le proprie tracce, ma mentre uno dei carabinieri cercava di bloccare gli altri due ragazzi, sarebbe partito il colpo fatale.

Non vogliamo qui giudicare il fatto in sé. L’Arma sostiene che il proiettile sia partito per sbaglio, c’è un’indagine in corso che accerterà l’intenzionalità o meno dell’agente. Sono le reazioni che ci hanno colpito maggiormente. In particolare quelle di chi, pur rammaricandosi per la morte di un minorenne, ha tenuto a sottolineare che comunque «fermarsi all’Alt dei Carabinieri è un obbligo». Come a dire: in fondo se la sono cercata, se non si sono fermati avevano di sicuro qualcosa da nascondere.

Da un lato c’è del vero in questo, ma dall’altro dovremmo anche rispondere a una domanda: qual è il ruolo delle istituzioni (e quindi delle forze dell’ordine) verso i giovani? Se consideriamo i ragazzi che delinquono semplicemente dei colpevoli da punire (peraltro Davide era incensurato, mentre gli altri due ragazzi hanno precedenti penali), allora possiamo anche capire questa “ode al proiettile” di alcuni. Se invece l’obiettivo è riportare alla legalità chi ha preso una cattiva strada, allora le cose sono un po’ diverse. Crediamo che un ragazzo di 17 anni sia una persona ancora in formazione, certamente in grado di discernere tra bene e male, ma anche permeabile alle tentazioni dell’apparentemente invidiabile status di chi sta nella malavita.

Non dubitiamo che molti tra quelli fermi su posizioni più “forcaiole” siano d’accordo sulla funzione di recupero che le istituzioni dovrebbero offrire ai giovani. Le due cose sono però incoerenti, e quindi da una parte o dall’altra si sta mentendo a se stessi e agli altri. Se si crede che sia giusto offrire un’opportunità in più, allora non si possono giustificare episodi del genere con tanta rapidità e fermezza. Se si è invece convinti che le forze dell’ordine debbano poter sparare con più libertà, allora le opportunità da offrire a chi delinque si riducono fortemente.

Spostando leggermente l’attenzione sul contesto, va riconosciuto che la realtà napoletana ha una sua specificità molto pesante per le forze dell’ordine. La popolazione locale non ha perso tempo a schierarsi contro il carabiniere, reo di aver ucciso un minorenne in fuga. È un gesto di solidarietà verso la famiglia, ma anche di astio nei confronti delle forze dell’ordine. Non è così frequente che si registrino reazioni di sdegno di fronte al sistema di violenza perpetrato quotidianamente dalla criminalità organizzata. Il che è un segno del fatto che c’è tanto lavoro da fare per restituire alla normalità quartieri che sono presidiati da uno “Stato parallelo” violento e prevaricatore. Accentuare il grado di contrapposizione dei fronti plaudendo alla pistola di un carabiniere non è certo il modo migliore per cambiare in meglio gli equilibri sociali.