Emmanuel Chidi Namdi era un uomo nigeriano di 36 anni, arrivato con la compagna in Italia dopo essere fuggito dalla brutalità di Boko Haram, il gruppo islamico che sta devastando varie zone del suo Paese. Lì, in Nigeria, la coppia aveva subito la perdita dei genitori e di una figlia, durante un assalto a una chiesa cristiana da parte dei terroristi. I due erano così fuggiti in cerca di una vita migliore, affrontando un lungo viaggio: passando per la Libia (dove sono stati «aggrediti e picchiati da malviventi del posto») e poi per una lunga traversata in mare (dove Chinyery, la compagna di Emmanuel, ha avuto un aborto). I due vivevano a Fermo, ed erano in attesa dei documenti per rimanere in Italia, dopo aver presentato richiesta di asilo politico. Sembra l’inizio di una storia difficile destinata ad avere un lieto fine, ma purtroppo nel Paese in cui aveva sperato di trovare la pace Emmanuel ha trovato la morte, per mano (secondo le prime ricostruzioni pubblicate dalla stampa) di un ultrà, Amedeo Mancini, già noto alle forze dell’ordine e sottoposto a Daspo.
Da quanto si sa finora, lo scontro tra i due avrebbe avuto inizio a causa degli insulti apertamente razzisti di Mancini, che avrebbe cominciato a provocare la coppia, che stava passeggiando per strada, con appellativi quali “scimmia africana”, rivolti a Chinyery. Da qui la reazione (verbale, secondo la donna) di Emmanuel e la risposta violenta di Mancini, che dopo aver picchiato pesantemente l’uomo si è avventato anche sulla sua compagna. Emmanuel è entrato in coma irreversibile, ed è morto ieri. La donna ha riportato ferite relativamente lievi. Fin qui la ricostruzione dei fatti, che sicuramente conoscerà rivisitazioni nei prossimi giorni.
Mentre si avviano le indagini, ciò su cui si può essere relativamente sicuri è il movente razzista della vicenda. Il tenore dell’insulto definisce innanzitutto chi lo pronuncia, e con questo ci risparmiamo ogni commento sulle parole utilizzate dall’aggressore. Impossibile però trattenere la rabbia e la vergogna che si provano a scoprire di trovarsi in un Paese in cui la tolleranza non è un valore condiviso. La paura del nuovo e del diverso è un sentimento comune nell’uomo, e l’antidoto migliore per curarlo è la cultura, non in quanto conoscenza di nozioni, ma come esercizio di elasticità mentale e capacità di ragionamento sulla complessità delle cose. Dove mancano questi due elementi, attecchisce più facilmente la paura. E proprio su questo fanno leva movimenti xenofobi che in tutta Europa stanno conoscendo un momento di preoccupante popolarità (anche se per il momento nessuno di essi è forza di maggioranza): rigidità mentale e semplificazione.
Difficile relegare l’accaduto a fatto privato, perché sembra essere lo specchio di un clima incerto all’interno del Paese. Per quanto ci riguarda, abbiamo provato varie volte a far notare le opportunità che porta con sé il fenomeno migratorio. Quando però la realtà ti restituisce episodi del genere, la sensazione è che quegli sforzi di chiarezza siano stati vani. Apprendiamo poi dal sito di RadioArticolo1 che l’Unione europea ha preso una posizione controversa per quanto riguarda i figli di immigrati all’interno degli Stati membri: «La Corte di giustizia europea ha stabilito che uno Stato membro – e nella fattispecie proprio il Regno Unito – può negare gli assegni familiari e il credito d’imposta per i figli a carico ai cittadini dell’Ue che non dispongano di un diritto di soggiorno in tale Stato. Secondo la Corte, sebbene tale condizione sia effettivamente “una discriminazione indiretta”, essa è comunque giustificata dalla necessità di “proteggere le finanze dello Stato membro ospitante”. L’Ue ha impiegato 60 anni a sviluppare una rete di sicurezza sociale per i bambini. E fino a una settimana fa, i figli di cittadini migranti avevano esattamente gli stessi diritti previdenziali dei figli dei cittadini nazionali». Se anche un’istituzione come l’Unione europea, nata per favorire la pace tra i popoli, comincia a legittimare sentimenti discriminatori, c’è davvero da iniziare a preoccuparsi per il futuro del continente.
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