Ha lasciato sgomenti l’omicidio di una giornalista e un cameraman avvenuto in diretta tv in Virginia (Stati Uniti) lo scorso 26 agosto. Da un lato ha colpito il fatto che la strage sia avvenuta durante una trasmissione in diretta, dall’altra ha fatto notizia la modalità con cui l’assassino ha cercato di dare visibilità al proprio gesto. Questi si è infatti ripreso con un telefono mentre “entrava in scena”, metteva in atto il proprio terribile progetto in favore di camera, per poi caricare immediatamente sui social network il video appena girato. In pochi minuti gli account Facebook e Twitter dell’omicida sono stati chiusi. Il video è stato comunque scaricato e ripreso da molte testate, e c’è chi ha deciso di pubblicarlo, dando quindi al killer ciò che voleva: visibilità.
Nel mondo anglosassone si è scatenato un ampio dibattito sull’opportunità o meno di pubblicare i video (quello girato dal cameraman prima di essere ucciso e quello girato dall’assassino). La riflessione ha portato molti giornalisti e direttori di importanti testate a interrogarsi su quale sia il valore aggiunto della pubblicazione di un atto di violenza nell’economia della notizia. La giornalista Arianna Ciccone ha pubblicato su Valigia Blu un esteso resoconto delle posizioni in campo, rivendicando il fatto che in casi come questo non pubblicare è una scelta giornalistica altrettanto (e forse più) coraggiosa di pubblicare. C’è poi una critica diretta ad alcune testate italiane, tra cui Repubblica, che hanno scelto di pubblicare il video dell’assassino, seppure tagliando la parte finale, quella in cui vengono esplosi i colpi mortali.
In un articolo pubblicato su ZeroNegativo nel 2013 ci chiedevamo il perché di tanta violenza proposta nei siti di news italiani. Allora ci riferivamo principalmente a quelle video-notizie messe in home page solo per soddisfare la torbida curiosità di una parte dei lettori. Oggi vediamo a quali pericolosi livelli può spingersi questa deriva per cui troppo facilmente si rincorre il clic a ogni costo. Allora come oggi ci poniamo alcune domande (e ci diamo una risposta), che ci permettiamo di riproporre: «Non è detto che tutti debbano cliccare e vedere il video, ma è innegabile che in un angolo recondito dell’animo di chiunque c’è la voglia di vedere “la morte in diretta”. Dobbiamo accettarlo, è la natura umana, ci piaccia oppure no. Ma la domanda è: perché pubblicarlo su un sito di news? Qual è il valore informativo contenuto in quelle immagini? La risposta è semplice: nessuno. Servono solo a fare audience. Un ragionamento da direttore di tivù commerciale, più che di un quotidiano, sia pure della sua versione online».
Come ricorda Ciccone, in un paragrafo che dovrebbe trovarsi in qualsiasi manuale di giornalismo, «il video andrebbe usato nel caso di versioni contrastanti su un accaduto (vedi uso della forza da parte della polizia), quindi la sua pubblicazione aiuta a ristabilire i fatti, ma questo video in sé non aggiunge niente in più. Non aiuta a comprendere la dinamica dell’accaduto. I fatti sono chiari anche senza l’utilizzo del video. Chi ha sparato voleva punire e umiliare le vittime mostrando il video». Le più semplici domande che uno si possa porre in questi casi non possono che portare alla scelta di non pubblicare: «What is my journalistic purpose? What organizational policies and professional guidelines should I consider? What are my ethical concerns? Who is the audience – and who are the stakeholders affected by my decision? What are my alternatives?».
Nella spiegazione poi pubblicata dal Gruppo Espresso in risposta a Ciccone, si scorge una preoccupante tendenza a lavarsene le mani: «Noi siamo un sito internet e non una televisione. Per certi versi siamo molto simili, ma per altri, molto diversi. Una differenza importante sta nel fatto che una Tv trasmette quello che vuole e l’utente ha solo una scelta binaria: o guarda o spegne. Su un sito internet noi diamo dei titoli che spiegano e avvertono quello che facciamo vedere. L’utente può decidere di guardare tutto (non lo fa mai) o sceglie di cliccare su quello che lo interessa». Quindi, visto che alla fine è l’utente a decidere, questo autorizza i direttori a bypassare le questioni etiche? Da cosa si giudica allora la linea editoriale di un giornale, se non da come sceglie di trattare o non trattare una notizia? Certo una riflessione c’è stata all’interno della redazione, se alla fine il video è stato pubblicato ma senza il finale cruento. Dobbiamo quindi accettare il fatto che la notizia stia nella modalità in cui è avvenuto l’omicidio, ossia con un telefono che riprende in soggettiva il fatto? Ci spiace, ma non riusciamo a toglierci dalla testa che in realtà il ragionamento sia stato il solito: «Tanto qualcun altro lo pubblicherà, quindi perché perdere lettori rimandandoli ad altri siti?».
Fonte foto: flickr.