Negli ultimi anni si è molto ridotta la presenza di volontari nelle carceri italiane. Secondo una ricerca curata dall’istituto di ricerca Iref per le Acli, di cui parla il mensile Vita, c’è stato un vero e proprio crollo, su cui ha certamente influito la pandemia. Si è passati da un rapporto tra detenuti e volontari di 1 a 3,1 nel 2019 a un rapporto di 1 a 5,4 nel 2020. Il contingente di volontari si è praticamente dimezzato, passando da 19 mila a circa 9 mila unità nello stesso periodo. «La flessione maggiore si è avuta per le attività religiose (- 61,3%) e per le attività di formazione e lavoro (-60,5%); anche le attività sportive, ricreative e culturali hanno perso una percentuale consistente di volontari (-56,5%)».
Il peso del terzo settore nelle carceri era piuttosto rilevante, spiega Vita, ma ora questo rapporto si è fatto più debole. Resta comunque il fatto che il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria spende il 97 per cento dei suoi fondi per mantenere gli istituti di detenzione, e solo il 3 per cento per permettere l’esecuzione della pena all’esterno del carcere. Questo nonostante, com’è noto a tutti da tempo, trascorrere il periodo di detenzione in cella porti a un altissimo tasso di recidiva, mentre questo scende sensibilmente se al detenuto è data la possibilità di scontare la pena al di fuori dell’istituto, possibilmente impegnandosi in attività costruttive per il suo futuro e quello della società. Come rileva Luca Cereda, autore dell’articolo, «in questa fase di lenta fuoriuscita dalla pandemia, che così tanti danni ha compiuto anche nell’ambiente carcerario, occorre agire in modo sistematico per la ricomposizione del tessuto sociale nelle parti in cui più forti sono le lacerazioni, e più necessario è il lavoro di cura che è proprio del Terzo settore. Nonostante il disinteresse generale, ci sono centinaia di migliaia di cittadini italiani che si impegnano in associazioni, fanno volontariato, si attivano per rivendicare la dignità dei detenuti. La società civile organizzata è un attore fondamentale nel sistema penale italiano».
La presenza del terzo settore nelle carceri è fondamentale perché porta stimoli, competenze, opportunità. Aspetti ancora più importanti in un contesto in cui, come spiega la ricerca, solo un terzo dei detenuti ha la possibilità di lavorare (spesso peraltro con turni molto diluiti nel tempo e mansioni troppo ripetitive). Prima della pandemia solo il 5 per cento dei detenuti era iscritto a un corso di studi, e la percentuale è crollata a 1,4 durante il Covid. «Anche in questo ambito il ruolo degli Ets (Enti del Terzo Settore) è rilevante – spiega Cereda –: tutti i principali enti di formazione, emanazione di sindacati e organizzazioni sociali di varia tradizione, realizzano percorsi formativi all’interno delle carceri».
Oltre a questi dati, non bisogna dimenticare che c’è un lavoro ben più profondo e urgente da fare sul sistema carcerario, che oggi rappresenta «un sistema patogeno e criminogeno indirizzato come una insidia contro l’intera collettività», come l’ha descritto Luigi Manconi sulla Stampa. «Attualmente – scrive ancora Manconi–, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Carlo Renoldi, è persona seria e sollecita dei diritti della popolazione detenuta, ma la macchina che dirige è torpida e vischiosa. Servirebbero delle scosse particolarmente intense e c’è da augurarsi che il prossimo ministro della Giustizia non arrivi a rappresentare un ostacolo rispetto alla necessaria politica di radicale rinnovamento. Anche perché la crisi del carcere è strutturale.
Nelle scorse settimane sono stati resi noti i dati relativi al numero dei suicidi in cella: la loro frequenza è undici volte maggiore di quella che si registra tra le persone non detenute. Ma c’è un dato ulteriore, per certi versi ancora più significativo: dal 2011 al 2022 si sono tolti la vita 78 poliziotti penitenziari, più di quanti sono stati i suicidi tra gli appartenenti agli altri corpi di polizia. Ora, basta aver sfogliato qualche fascicolo di un corso di psicologia a dispense per trarre alcune ragionevoli ipotesi».
(Foto di Tim Hüfner su Unsplash)
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