La Francia ha da poco introdotto il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza nella costituzione. In Irlanda proprio oggi si vota un referendum per ridefinire il lavoro di cura in ambito domestico, con l’intento di slegarlo dalla figura femminile, pur mantenendo i riferimenti alla sua importanza.
Si tratta di segnali importanti, che non arrivano per caso. Sono stati i movimenti femministi, in entrambi i paesi, a lottare per spingere in questa direzione. Quella francese non è però una vittoria su tutti i fronti. Per esempio, la prima proposta di riforma costituzionale presentata prevedeva anche il diritto alla contraccezione, ma su questo non si è trovato il necessario accordo all’interno del governo e del parlamento. Ma è normale che sia così, la dialettica politica prevede per definizione uno spazio di compromesso tra le parti.
Non si tratta solo di un atto simbolico, ma di uno strumento concreto di tutela dei diritti delle donne grazie al quale, se in futuro altre maggioranze politiche vorranno ostacolare l’accesso all’aborto, troveranno maggiori difficoltà. Certo però, nonostante il tono celebrativo con cui è stata accolta la notizia, non bisogna dimenticare che per molte donne francesi resta molto difficile accedere all’aborto, e questa legge non le aiuterà ad avere una maggiore autodeterminazione sul proprio corpo.
In Italia ci sono problemi simili. Il diritto all’aborto è garantito dalla legge 194 del 1978, ma il grande ricorso dei medici all’obiezione di coscienza, oltre a una serie di limiti e ostacoli posti a livello locale con l’intento di limitare l’accesso a tale diritto, costringe tuttora molte donne a doversi spostare per potervi avere accesso.
Dal 2016, alcuni movimenti femministi nel mondo (compreso NonUnaDiMeno in Italia) sono riusciti a trasformare quello dell’8 marzo da giorno di celebrazione a giorno di mobilitazione, proclamando uno sciopero del lavoro «informale, nero, grigio, di formazione/lavoro, non riconosciuto». Quello di cui parla la costituzione irlandese, ossia il lavoro domestico, di cura e assistenza ai minori alle persone con disabilità, non autosufficienti, fragili, anziane. Lavori spesso non adeguatamente o per nulla retribuiti, e ai quali non ci si può sottrarre. Per questo si chiede alle donne che non possono astenersi dal lavoro di aderire comunque alla mobilitazione indossando qualcosa di nero e fuxia, con spillette o foulard a tema.
Come da tempo avviene nell’ambito dell’attivismo e della ricerca, bisogna considerare il problema da un punto di vista “intersezionale”. Per esempio, una donna italiana, bianca, sposata, non avrà gli stessi problemi di una donna immigrata, non bianca, single.
Come spiega Sabrina Marchetti su inGenere, «le italiane con un lavoro dequalificato sono il 26%, le straniere il 42%. A svolgere un lavoro part-time involontario è il 16% delle donne italiane e il 31% di quelle migranti. Le donne italiane con un lavoro non-standard, temporaneo e precario, sono il 27%, percentuale che, secondo i dati del Dossier statistico immigrazione 2022 del Centro studi e ricerche Idos, sale addirittura al 42% fra le migranti. Le donne migranti in Italia sono attive in due settori lavorativi, le italiane in venti. Per tutte, l’impiego è largamente in lavori connessi all’accudimento, alla pulizia, alla preparazione dei pasti, al servizio della clientela, allo stare con bambini e bambine, persone anziane, malate».
La cosa è confermata dagli ultimi dati Eurostat, citati su Lavoce.info: «Le donne sono presenti in misura largamente maggiore nelle professioni legate all’assistenza per l’infanzia e per l’insegnamento (92,6 per cento), nei lavori di segreteria (89,3 per cento) e come insegnanti nella scuola primaria e nelle scuole per l’infanzia (88,2 per cento). Inoltre, sia le infermiere e le ostetriche sia le addette alle pulizie sono in maggioranza rispetto agli uomini che fanno lo stesso lavoro (rispettivamente 87,5 e 86,5 per cento)».
L’Italia ha anche un tasso di disoccupazione femminile più alto della media europea: 8,2% contro 6,3%.
Sono solo alcuni dei numeri e delle riflessioni che si potrebbero fare (abbiamo del tutto evitato la questione della violenza di genere, che pure resta un grave problema che affligge le donne soprattutto in ambito familiare), ma dicono già molto di come ci sia ancora molto da fare affinché la nostra società diventi pienamente inclusiva e paritaria. Usiamo questa giornata per rifletterci su, e il resto dell’anno per costruire quella società.
(Immagine di pikisuperstar su Freepik)
Col sangue si fanno un sacco di cose
Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.