La parità di genere è un concetto su cui siamo tornati spesso, ed è opportuno farlo anche in questo periodo, visto che si avvicina la Giornata internazionale della donna, che si celebra l’8 marzo. Molte sono le campagne avviate su tutti i fronti, da quello istituzionale al mondo associativo. Ma anche dallo sport arrivano messaggi interessanti e sottili, e in particolare dalle arti marziali, spesso associate principalmente all’universo “maschile”. È una realtà sportiva bolognese a piegare i luoghi comuni: il dojo di karate Tora No Me (che in giapponese significa “occhi della tigre”), guidato dal maestro Fabio Ruggeri, ha presentato al Festival dell’Oriente una coreografia che mostra quanto vicini siano due mondi apparentemente molto distanti, quello del karate e quello della danza classica (una ripresa amatoriale si può vedere sulla pagina Facebook personale di Ruggeri).
La parte della protagonista è stata affidata a Sofia, danzatrice (e karateka) di nove anni, che ha preso parte attiva alla creazione della coreografia. L’idea però è di Fabio, che da tempo è impegnato in attività di sensibilizzazione verso il problema della violenza contro le donne, anche tramite l’associazione Noino.org, di cui fa parte. Nella sua semplicità, ciò che si è visto sul tatami di Bologna Fiere (e che si rivedrà il 4 marzo alle 16,15 e alle 18,15) è stato un piccolo assaggio di quanto i movimenti del karate e quelli della danza classica abbiano molte cose in comune. Mentre la piccola Sofia si esibiva danzando a ritmo di musica, alle sue spalle tre maestri (oltre a Ruggeri c’erano le cinture nere Aurelio Trofé e Cristian Serra, di 29 e 17 anni) seguivano i suoi movimenti con mosse e tecniche prese dal repertorio del karate.
Nonostante le differenze tra le discipline, l’attenzione per l’eleganza e la pulizia (ma anche la potenza) del gesto è la stessa. Nella danza l’efficacia del movimento è in rapporto diretto con la musica e le potenzialità espressive del corpo, mentre nel karate l’obiettivo è l’avversario, anche se immaginario come in questo caso. A vedere i primi minuti dell’esibizione potrebbe sembrare che tutto il “maschile” sia concentrato nelle arti marziali, mentre il “femminile” sia tutto nelle movenze di Sofia. Ma è proprio quest’ultima a esemplificare la continuità tra i due mondi, quando al culmine della coreografia si china per indossare il karategi (la divisa da combattimento del karate, alla quale molto spesso ci si riferisce erroneamente con la parola “kimono”) e si unisce ai tre maestri per eseguire all’unisono una sequenza di mosse di karate, detta Kata.
Ecco quindi che maschile e femminile si incontrano e i loro contorni si fanno sempre più sfumati, fino a perdersi. Del resto forse vuole essere proprio questo il messaggio di fondo di tutta l’esibizione: maschile e femminile sono concetti molto utili per la vita di tutti i giorni, ma se si va in profondità a cercarne l’essenza si scopre che sono molto difficili da definire: utili per suddividere la realtà in macro categorie che ce la rendano più semplice da interpretare, ma privi di un perimetro chiaro e immutabile. Come dice lo stesso Ruggeri, «alle origini del karate c’è una mescolanza con la danza delle isole Ryukyu (la più importante delle quali è Okinawa); le donne che allora la praticavano hanno ispirato alcune mosse e movenze poi incorporate dal karate nelle proprie tecniche di combattimento».
Oggi il karate è soprattutto uno sport, nonché una disciplina da cui si prende spunto per le tecniche di difesa personale. Dunque si inserisce perfettamente nella diffusione di stili di vita sani che Avis Legnano ha fatto propria da qualche tempo a questa parte. Per chi fosse a Bologna nei prossimi giorni, l’invito è ad andare a vedere la coreografia al Festival dell’Oriente il 4 marzo. Altrimenti, per chi voglia avvicinarsi al karate, la porta del Tora No Me dojo è sempre aperta.