«Il Green Pass si limita ad attestare che la persona che lo possiede non costituisce un rischio per gli altri, e quindi non si capisce perché gli Atenei dovrebbero derogare da quanto previsto dal decreto legge del 6 agosto, che regola l’uso della certificazione verde in scuole, università, eventi sportivi, spettacoli e mezzi di trasporto». Lo scrive l’associazione Gruppo 2003 per la ricerca scientifica.

Il riferimento è alla lettera firmata da alcune centinaia di professori e personale universitario contrari al Green Pass e circolata qualche giorno fa. Se ne è molto parlato soprattutto a causa dell’adesione del noto docente e divulgatore Alessandro Barbero, molto seguito anche al di fuori delle aule universitarie per la sua capacità di rendere avvincenti le vicende storiche di cui si occupa. Nella lettera i professori non si dicono contrari al vaccino, ma contestano il fatto che, se il Green Pass è obbligatorio per sempre più attività, tanto vale rendere obbligatorio il vaccino. Viene vista come una scelta ipocrita quella di dare la libertà di scelta rispetto a quest’ultimo, salvo poi riservare molte occasioni sociali solo a chi è dotato di Green Pass.

«Nella nostra qualità di cittadini e di scienziati – risponde ancora il Gruppo 2003 – (alcuni dei quali medici e ricercatori impegnati nel contrasto della pandemia), non riusciamo proprio a vedere come il possesso di un documento che attesti la vaccinazione, la guarigione da Covid-19 negli ultimi sei mesi o la negatività a un tampone molecolare nelle ultime 48 ore, possa risultare discriminatorio e liberticida».

Di certo le regole intorno al Green Pass sono tutt’altro che perfette, e le recenti tensioni politiche all’interno della maggioranza di governo non stanno aiutando. Ci sembra però fuori discussione il fatto che i vaccini si stiano rivelando dei preziosi alleati nella lotta al coronavirus. Nel fare confronti con la situazione dei contagi in questo periodo del 2020 non bisogna tralasciare il fatto che un anno fa la variante delta non esisteva. Proviamo a immaginare a che punto saremmo ora, con una variante così contagiosa in circolo, senza la campagna vaccinale.

Ciò su cui si può e si deve criticare il governo (quello attuale e quello precedente) è l’assenza di un’adeguata campagna di comunicazione sui benefici dei vaccini. Molte delle persone che non si sono vaccinate non sono “no vax” radicalizzati (il “flop” delle manifestazioni dei giorni scorsi lo conferma), bensì persone diffidenti, che hanno paura, temporeggiano. Informarle, rassicurarle, convincerle a vaccinarsi, sarebbe un successo, mentre al contrario puntare tutto sull’imposizione (che sia il Green Pass o l’obbligo vaccinale) non è la strada vincente sul lungo periodo.

Bisogna poi mettersi d’accordo su cosa si intende per “obbligo vaccinale”. Come spiega il Post, «Con l’obbligo assoluto, per usare l’efficace esempio di Boeri e Perotti, “lo Stato ti stana casa per casa e manda tre infermieri e tre carabinieri per un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) per metterti un ago in un braccio”. Invece con un obbligo relativo nessuno è obbligato a vaccinarsi, ma il numero e l’importanza delle attività per cui è richiesto il vaccino sono tali per cui diventa un requisito per lavorare e per partecipare alla vita sociale: un’espansione, quindi, del Green Pass».

Cosa intendono gli estensori di quella lettera quando dicono che “tanto vale rendere il vaccino obbligatorio”? Sarebbero contenti dell’obbligo assoluto? Probabilmente no, visto che nel loro scritto ricordano in termini negativi altri “periodi storici” (senza apertamente citare quali) di grandi limitazioni delle libertà individuali. Sarebbero contenti di un obbligo relativo? Non sarebbe una situazione radicalmente diversa dal Green Pass (che almeno può essere presentato in maniera più convincente come una soluzione temporanea).

Come scrive lo storico Gianluca Briguglia, «Si può essere contro il vaccino obbligatorio e a favore del green pass; ma come si regge il contrario, cioè essere contro il green pass ma a favore del vaccino obbligatorio? Si dice che è per smascherare l’ipocrisia dello stato che non si assume la responsabilità di obbligare al vaccino. Ma la questione dell’ipocrisia non è troppo astratta e, nella situazione in cui siamo, del tutto evenemenziale? Se noi ci concentrassimo sulla specificità del presente, non troveremmo che il green pass – lo ripeto: capisco e condivido l’analisi teorica dei rischi potenziali del dispositivo – è uno strumento pragmatico per cambiare il verso degli avvenimenti per un certo numero di mesi? Se si tornasse alle chiusure, il costo sociale e individuale non sarebbe troppo alto? Non si rischierebbe davvero di innescare nella popolazione fenomeni ancora più pericolosi? E se l’eccezione, oggi, nel presente, fosse davvero un’eccezione?».

(Foto di Claudio Schwarz su Unsplash)

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