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«Norme più severe contro l’accattonaggio e la carità molesta» è la promessa del ministro dell’Interno Angelino Alfano. Come a dire che il problema della povertà sono i poveri, che girano per strada e hanno l’ardire di chiedere qualche spicciolo. Con una logica che va contro ogni principio ragionevole (ma che funziona molto in termini di presa sul “pubblico” dei cittadini), il ministro ha lanciato questo slogan durante il Comitato per la sicurezza che ha presieduto a Roma. L’impatto di poveri e senza tetto sulla sicurezza delle città è piuttosto modesto, ma l’appeal sulle paure dei cittadini sempre garantito. Molto meno accattivante, invece, spostare l’attenzione sulla sicurezza e il decoro, non dei centri storici, ma delle persone che, loro malgrado, sono costrette a vivere senza una fissa dimora.

I colpevoli di “accattonaggio e carità molesta” sono qui ridotti a problema da risolvere (magari contribuendo ad affollare quelle carceri che a fatica si sta cercando da tempo di decongestionare), e la loro condizione di indigenza è trattata come colpa. «Secondo l’Istat – scrive Stefania Mascetti su Internazionale – le persone senza dimora in Italia sono circa 47.600, cioè lo 0,2 per cento della popolazione iscritta presso le anagrafi. A Roma, secondo una stima effettuata nel 2011, sono 7.800, di cui 2.760 trovano riparo durante l’inverno presso centri di accoglienza notturna del comune, di parrocchie, istituti religiosi e associazioni di volontariato. Circa 2.500 persone non trovano riparo per la notte e altre duemila vivono in alloggi di fortuna. A febbraio, dopo alcune giornate di pioggia, i vigili hanno dovuto portare in salvo le persone che dormivano sotto i ponti e lungo gli argini del Tevere. Dov’è il necessario decoro per queste persone?».

Quando a essere aggrediti sono i più deboli, le reazioni sono più contenute, mentre la caccia al “barbone” (meglio ancora se “immigrato”) fa sempre effetto. In un certo senso, è vero che la carità ha in sé qualcosa di molesto per chi ha un tetto sotto il quale dormire e un lavoro col quale sostentarsi: «Vedere la povertà importuna la nostra coscienza, ci impedisce di tornare a casa tranquilli, ci mette davanti alcune domande scomode». Più delle nuove fattispecie di reato auspicate da Alfano e più delle telecamere invocate (nello stesso incontro, parlando di misure anti terrorismo) dal sindaco di Roma Ignazio Marino, potrebbero avere efficacia progetti come quello avviato dall’associazione bolognese Piazza Grande, che con #poveriNOi punta a «mandarli tutti a casa». Non i politici, come usa ultimamente, bensì i senza tetto.

In due anni, da quando è partita l’iniziativa, Piazza Grande è riuscita ad affittare 50 appartamenti e dare una casa a 200 persone. Questo è un impegno concreto contro “l’accattonaggio e la carità molesta”. Un tetto sulla testa (non quello dei dormitori, che sono un argine all’emergenza ma non costituiscono la soluzione) aiuta a ragionare meglio, e magari a riprendere in mano la propria vita. Da progetti come questo i nostri politici potrebbero imparare molto, se solo lo volessero. Intanto, per lo meno, potrebbero fare una donazione per un kit scuola, oppure dei buoni spesa, o pagare una quota delle utenze perché, una volta trovata la casa, ci sono le spese da coprire. In questi giorni si è celebrato il terzo anniversario della morte di un artista che, a Bologna, ha fatto tanto per i senza tetto, Lucio Dalla. A cominciare dal pranzo per i poveri nel periodo natalizio. «Lucio ci teneva moltissimo – racconta l’amico e ristoratore di fiducia Ezio ‘Napoleone’ Neri –: era un uomo con una sensibilità speciale. Nei poveri e nei senzatetto che invitavamo rivedeva se stesso in gioventù, quando non aveva soldi. La mamma non era ricca, hanno tribolato così tanto… Era anche un po’ tirchio, ma in quelle occasioni non badava a spese: non solo cantava, suonava e chiacchierava con tutti, ma a tutti dava anche una bustina con dentro 50mila lire. Diceva: “Con i miei soldi faccio quello che voglio!”». Ovviamente non è con un pranzo e una busta che si risolvono i problemi. Ma non spetta ai cantanti farlo, bensì ai nostri rappresentanti, che non perdono occasione per dimostrare quanto lontani siano dalla soluzione.