marottaI 300mila libri dell’Istituto per gli studi filosofici di Napoli rischiano di essere messi in vendita, perché i soldi sono finiti da tempo e i creditori reclamano quanto gli è dovuto. È il triste e vergognoso epilogo che potrebbe avere la storia di un progetto nato nel 1975 per iniziativa di Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto, e del presidente dell’Accademia dei Lincei, Enrico Cerulli. Fu in primavera che i due andarono a bussare alla porta dell’avvocato Gerardo Marotta, istigandolo a lasciare la propria professione per impegnarsi a tempo pieno alla sua già nota attività di promozione del patrimonio culturale. Fu così che ebbe inizio una storia di grande importanza per il panorama intellettuale della città di Napoli, che ha visto passare – secondo quanto scritto in un articolo di Internazionale – per l’Istituto «27mila tra filosofi, sociologi, medici e matematici ospitati in quarant’anni di attività, migliaia di borse di studio erogate a giovani ricercatori (una media di 2.500 all’anno da quando nel 1993 all’istituto furono assegnati una parte dei contributi versati allo stato con l’8 per mille), 15mila tra lezioni e convegni in tutto il mondo (compresi gli storici “colloqui” nel castello di Cerisy-La Salle in Normandia, che dal 1919 ospitano il fior fiore degli intellettuali europei, e una conferenza su “Islam e Italia” a Timbuctù, in Mali) e infine scuole estive disseminate in paesi e villaggi del Mezzogiorno, “tra la perduta gente”, come dice Marotta evocando, prima ancora che l’Inferno dantesco, la celebre inchiesta etnografica di Umberto Zanotti Bianco nella Calabria degli anni venti».

Della vicenda avevamo parlato su ZeroNegativo nel 2012, quando si annunciava lo sfratto dell’istituto dalle sue sedi storiche, per trasferirne l’immenso patrimonio in un umido magazzino di Casoria. Col rischio che i manuali raccolti in tanti anni dall’avvocato, a costo di indebitarsi fino a trovarsi senza più nulla, oltre a non essere più consultabili, siano consumati dalle muffe. Già ora gran parte del catalogo è inaccessibile. Attualmente solo il 10 per cento dei titoli è consultabile: «In tutto sono circa 30mila i volumi catalogati e a disposizione di studenti e ricercatori, solo su appuntamento per “mancanza di personale”. Ma, proseguendo sulle tracce delle edizioni originali delle opere di Giordano Bruno, Giambattista Vico e Benedetto Croce, si sprofonda nell’umidità delle catacombe del palazzo di proprietà di un dentista che ha intimato lo sfratto per morosità ai blasonati ospiti e ora inaccessibili perché sotto sequestro giudiziario, si continua vagando tra gli scatoloni accatastati in un capannone di periferia a Casoria e si finisce negli stanzoni deserti dell’ex manicomio Leonardo Bianchi. È qui che sono lasciati a marcire i restanti 270 mila libri. “Se non arrivano i soldi, a settembre gli ufficiali giudiziari metteranno in vendita i miei libri”, dice allarmato Marotta. L’Istituto italiano per gli studi filosofici ha appena superato lo scoglio dei quarant’anni di vita e la sua sopravvivenza è a forte rischio: in cassa non c’è un centesimo, i dipendenti non vedono un euro da quindici mesi ed Equitalia bussa alle porte per contributi arretrati e ritenute d’acconto da versare».

Non si tratta di incapacità di gestione, la questione è invece politica, segnata da progressivi tagli ai finanziamenti che hanno messo in ginocchio le attività dell’istituto. Inutile cercare di trasformare quella di Marotta nella storia di un’ossessione, di una mania di accumulo fine a se stessa. La qualità delle imprese realizzate e l’apprezzamento ricevuto da intellettuali in ogni campo la dicono lunga sul ruolo fondamentale della biblioteca nel panorama culturale non solo italiano: «L’avvocato Marotta elenca le attività del centro come un fiume in piena: i seminari tradotti perfino in coreano, l’edizione cinese di Machiavelli grazie alla collaborazione con l’università Orientale, la collana di opere sul pensiero indiano, il volume con i messaggi di Ashoka (erede di Alessandro Magno convertito al buddismo), la presidenza onoraria al premio Nobel per la chimica Ilja Prigogine, le videointerviste con decine di intellettuali (Louis Althusser che parla della “crisi del marxismo”, Cornelius Castoriadis di “psicanalisi e politica”, e poi Alain Caillé, Pierre Bourdieu, Jacques Le Goff e molti altri)». Nonostante la visibilità data alla vicenda da personaggi quali Roberto Saviano e una petizione che ha raccolto finora 25mila firme, il destino dell’istituto è tutt’altro che certo. Del resto, inutile stupirsi se una politica del tutto distante da ogni forma di ragionamento che non sia esclusivamente economico non dimostri sensibilità verso un patrimonio e un sapere che alla politica potrebbero dare molto.