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Ciò che succede nel “transatlantico” della Camera, il grande salone di palazzo Montecitorio in cui si incontrano informalmente i parlamentari, è la “linfa vitale” del giornalismo parlamentare. Il blog Minima&Moralia ha pubblicato il racconto del giornalista e blogger che si aggira da tempo nell’ambiente con lo pseudonimo Quit the doner.

«Non ce la faccio più» spiega un collega giovane e sveglio che fa cronaca parlamentare da molti anni, a mo’ d’incoraggiante introduzione nel magico mondo della politica vista da vicino. Siamo seduti su un divano del transatlantico della Camera, il luogo dove si fabbricano quelle 5-10 pagine dei quotidiani in cui i politici si mandano messaggi a vicenda sulla testa dei lettori. Da questo salone lungo e discretamente sfarzoso arrivano la maggior parte dei retroscena, spesso anche quelli più irrilevanti, visto che le informazioni buone e esclusive ci sono metodi migliori per comunicarle, strategie visionarie e clandestine tipo: mandare un sms. Qui lo struscio di politici, giornalisti e commessi non conosce sosta e si confabula alacremente. La ripartizione spaziale del potere è abbastanza intuitiva: le figure importanti stazionano in un punto, quelle medie si coagulano attorno a loro, i cazzoni alla base della piramide sociale (io) vanno avanti e indietro.

In pratica, almeno durante il cocktail party “elezione Presidente della Repubblica” qui non manca nessuno dell’establishment politico, compresi, la mattina presto, diversi direttori di quotidiani che prendono caffè, stringono mani e forse danno un’occhiata di controllo nel caso un capogruppo con una dichiarazione importante da fare si fosse nascosto dietro una lampada, rendendosi così invisibile ai soli sette inviati a testata che ci sono in questa stanza. L’importante in momenti come questi, anche se è una frase fatta, è veramente esserci, marcare il territorio.

«Il mondo di fuori scompare ed esiste solo questo», mi spiega un altro giornalista giovane, «alla lunga qui dentro è alienante». Eccezioni a parte, il giornalista parlamentare convinto, oltre ad essere orgoglio e idealtipo di quella parte della stampa che a tanta promiscuità con i potenti aspira ed agogna, se la tira parecchio perché poche cose ringalluzziscono un certo tipo di persone quanto la gloria riflessa. Il vero giornalista parlamentare si aggira a qualche centimetro da terra sulle ali della sua confidente convivialità con i politici, che, ad onor del vero, visti da molto vicino sembrano principalmente due cose: più bassi (risaputo) e molto molto normali. A parte Bruno Vespa. Bruno Vespa emette anche dal vivo una potente aura di soprannaturalità televisiva che non si capisce bene da cosa derivi, se dalla carnagione più scura di chiunque altro qui dentro o dalla fisiognomica che ricorda leader politici non esattamente democratici, sta di fatto che quando si posiziona vicino al bar è l’unico che mi fa pensare “ehi ma quello è Bruno vespa della televisione” proprio mentre chiedo a Formigoni se per favore può alzarsi un attimo perché si è seduto sul mio cappotto (l’uso comune vuole infatti che le giacche si buttino sui divani, metodo inspiegabilmente simile a quello che si applicherebbe ad un concerto degli Asian Dub Foundation in un centro sociale).

La presidente della Camera, quando si muove per il suo regno si deve portare dietro un codazzo istituzionale tale che qui dentro l’hanno soprannominata con il nome di un’imperatrice dell’antichità. Il convoglio ha persino uno spostacristiani in punta che si assicura che le facciate largo. Quando incrocio la processione e mi ritraggo, lei mi ringrazia pure, gesto che accolgo con il deferente cenno del capo tipico del popolano che sa di non avere alcuna alternativa reale. Mentre mi rimetto il cappello di paglia e mi auguro che dio la protegga e le messi quest’anno siano abbondanti, mi dicono che Grasso si muove con un seguito simile più scorta armata. Convogli da ancien regime a parte, l’aria che si respira non è proprio di quella del contesto serio e solenne, il clima in transatlantico è intriso di quella convivialità ostentatamente paracula caratteristica dei ritrovi di chi ha svoltato.

Che si vinca o si perda nella partita politica, rimane il fatto indubitabile che qui dentro c’è solo gente che nella vita ha vinto, e non fa molto per nasconderlo. Dall’altro lato della, si fa per dire, barricata, stanno con i mano i registratori e gli iphone quelli che un giorno sono Charlie Hebdo e l’altro Tsipras, e probabilmente anche Marylin Manson se per caso il cantante superasse il 28 per cento alle prossime elezioni in Portogallo. Il mimetismo è totale, l’abbraccio è si falso ma anche in modo dichiarato, sistemico, è, in altri termini, politica. Nel compiacimento del ristretto numero di persone messe qui dentro c’è anche la palese, quanto in parte anacronistica, convinzione di essere al centro di quello che conta davvero, del potere che tira le fila. La certezza di essere nel punto più alto del sistema d’interdipendenze che sole possono rendere una vita agiata e dignitosa. Si respira lo spirito familistico di quella Roma del potere che sembra depennare la globalizzazione, l’Europa, i mercati, i poteri economici a questioni che si possono risolvere con qualche giro di nomine, come fosse il 1960. Se ne ricava una generale mancanza di tensione e una sacralità istituzionale quasi inesistente.

L’insieme è al tempo stesso elitario e popolare, ma per nessuno dei due termini nell’accezione che probabilmente vi augurereste. «Questo parlamento è specchio del Paese», mi dice un deputato: «C’è l’antipolitica, ci sono i cialtroni, i delinquenti e gli sfigati», sottintendendo con ammirabile onestà intellettuale che lui fa parte dell’ultima categoria. L’ultimo, misero, eco percepibile di serietà istituzionale, cortei dei presidenti a parte, è dato dal commesso che ogni tanto si sporge a controllare il tuo pass (sotto i 50 anni sei sempre un po’ sospetto in queste stanze) e i nastrini tricolore dei commessi al bar, che non avrà più i prezzi folli di un tempo ma offre ancora il caffè a 80 cents, i dolci a 90 e i panini a 2 e euro e cinquanta, il che ne fa probabilmente tutt’ora il luogo più conveniente nel centro di Roma.

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