«La Conferenza ONU sull’acqua 2023, tenutasi a New York, è culminata oggi con una risposta innovativa alla crisi idrica globale, con l’impegno da parte di governi, imprese e società civile di stanziare miliardi di dollari per portare avanti l’agenda sull’acqua, un punto di riferimento per accelerare lo sviluppo sostenibile nel suo complesso». Esordisce così il comunicato stampa di chiusura della seconda Conferenza Onu sull’acqua che si è conclusa lo scorso 24 marzo.
Al di là della solennità della formulazione, ciò che si intuisce dalle parole usate è una cosa che si sapeva fin dall’inizio, e che smorza un po’ gli entusiasmi: nessuna decisione vincolante è stata presa. “L’impegno” a cui si fa riferimento è solo morale, così come le “deliberazioni” citate più avanti nel comunicato, che «hanno spaziato dall’urgenza della crisi idrica, anche rispetto alle migrazioni forzate, ai cambiamenti climatici e ai conflitti, sottolineando il suo ruolo decisivo per garantire una buona salute, la riduzione della povertà e la sicurezza alimentare».
Un altro problema è che «non esiste un organismo delle Nazioni Unite che sia responsabile dell’attuazione e del monitoraggio dei progressi di tutti gli [Obiettivi di sviluppo sostenibile] legati all’acqua – si legge su Nature –. “La conferenza si trova in un vuoto istituzionale”, afferma [Henk] Ovink[, inviato speciale per l’Olanda sul tema dell’acqua alla COP27]. “Mentre ora siamo molto impegnati con la conferenza sull’acqua, non siamo molto impegnati con l’acqua”».
Nonostante tutti i punti deboli, la logica è quella di provare a rafforzare e dare attuazione ai trattati e agli accordi esistenti, piuttosto che imbarcarsi nella stesura di nuovo trattato, che richiederebbe anni per essere finalizzato. L’incontro è inoltre utile per fare procedere il dibattito in vista della prossima COP28 che si terrà a Dubai a novembre.
È comunque un bene che si torni a mettere la disponibilità di acqua potabile al centro del dibattito, visto che così non è stato negli ultimi decenni. L’acqua (come argomento a sé stante) non ha rappresentato una priorità nell’agenda internazionale delle politiche di sviluppo sostenibile, almeno fino ad ora, ha detto a Nature Rachael McDonnell, vice direttrice generale dell’International Water Management Institute.
La prima conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua si è svolta a Mar del Plata, in Argentina, sempre a marzo, ma del 1977. Allora i rappresentanti di 118 Paesi e territori si incontrarono per 12 giorni e licenziarono un Piano d’azione che impegnava i firmatari a garantire acqua pulita e servizi igienici per tutti entro il 1990.
Si è tornati a parlare di acqua a livello di governance globale nel 2015, quando nell’ambito degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite si sono ribaditi gli stessi due obiettivi appena menzionati, evidentemente non raggiunti nel 1990, stavolta entro il 2030.
Nonostante gli impegni, il lavoro da fare è ancora lungo. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), nel 2020 circa 2 miliardi di persone non disponevano ancora di acqua potabile nelle proprie case e circa un terzo della popolazione mondiale non aveva strutture di base per lavarsi le mani. Ai ritmi attuali, nel 2030 il problema riguarderà ancora 1,6 miliardi di persone nel mondo.
Secondo l’ultimo rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, spiega Nature, circa la metà della popolazione mondiale è già a rischio di grave scarsità d’acqua per almeno una parte dell’anno. Questo dato è destinato ad aumentare a causa degli effetti del cambiamento climatico: se le temperature globali arriveranno a 1,5 gradi centigradi al di sopra dei livelli preindustriali, la probabilità di siccità agricola estrema raddoppierà in molte parti del mondo.
(Foto di Jonas Weckschmied su Unsplash)
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