Mentre è iniziata la seconda settimana della conferenza sul clima COP29 di Baku (Azerbaigian), è utile fare un bilancio della prima. Le analisi di Ferdinando Cotugno, autore della newsletter Areale per il quotidiano Domani, tracciano il quadro di una conferenza che oscilla tra un cauto ottimismo e un profondo cinismo. La presenza ingombrante dell’industria dei combustibili fossili, simboleggiata dai cioccolatino dell’OPEC (l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) offerto ai partecipanti, sottolinea la sfida di fare progressi in un contesto così pesantemente influenzato proprio dal settore che guida la crisi climatica.

Cotugno rileva il successo nella definizione di regole comuni per i mercati della CO2, un risultato a lungo cercato che potrebbe portare ordine in un sistema caotico pieno di scappatoie e pratiche discutibili. Tuttavia, la preoccupazione è che ciò possa semplicemente istituzionalizzare il greenwashing, consentendo alle nazioni ricche e alle aziende inquinanti di comprare la propria via d’uscita dalla riduzione delle emissioni piuttosto che apportare cambiamenti reali.

Il tema centrale è quello della finanza, con il Nuovo Obiettivo Quantitativo Collettivo (o NCQG, ossia l’ammontare delle risorse finanziarie che i paesi sviluppati si sono impegnati a fornire ai paesi in via di sviluppo nel prossimo decennio per sostenere i loro sforzi nella lotta al cambiamento climatico) a fare da sfondo a negoziati molto tesi. La cifra proposta di 1.300 miliardi di dollari viene accolta come una potenziale svolta, ma occorre fare attenzione alla distinzione tra quantità e qualità dei finanziamenti. I Paesi in via di sviluppo stanno infatti spingendo per ottenere una quota maggiore di finanziamenti pubblici, temendo di diventare dipendenti da investitori privati con potenziali conflitti d’interesse. Cotugno sottolinea la portata della sfida confrontando il NCQG, pari all’1,4% del prodotto interno lordo dei Paesi sviluppati, con il 3,6% speso per i sussidi ai combustibili fossili.

Si è fatta notare la contrapposizione tra l’intervento della presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni e l’appello emotivo del primo ministro spagnolo Sánchez, che ha parlato dell’urgenza dell’azione per il clima dopo le alluvioni di Valencia. Mentre Sánchez ha sottolineato la cruda realtà degli impatti climatici, Meloni si è concentrata su una visione tecnologica del futuro, enfatizzando soluzioni in fase embrionale di sviluppo o ancora inesistenti. Questa disparità, secondo Cotugno, riflette uno scollamento tra la necessità immediata di un’azione immediata e l’attenzione a lungo termine per l’innovazione tecnologica.

Cotugno trova un barlume di speranza nella leadership della prima ministra delle Barbados Mia Mottley, la cui audace proposta di impegnarsi direttamente con Donald Trump, per quanto improbabile, segnala la volontà di esplorare percorsi di cooperazione non convenzionali. Un tema ricorrente è la crescente sensazione che il formato stesso della COP necessiti di una riforma urgente. Alcune figure di spicco, tra cui Ban Ki-moon e Christiana Figueres, hanno firmato una lettera che chiede una revisione radicale per rendere il processo più efficiente, orientato all’azione e meno suscettibile all’influenza delle imprese.

Alla fine della prima settimana, la prospettiva di Cotugno è quella di cauta osservazione. Pur riconoscendo i progressi compiuti sui mercati della CO2 e il potenziale significato dell’NCQG, sono chiari a tutti gli squilibri di potere, l’influenza degli interessi acquisiti e la minaccia incombente di grossi passi indietro non appena il vento politico cambia.

Da rilevare anche che nell’ambiente strettamente controllato di Baku le azioni di protesta sono state piuttosto sommesse, evidenziando la riduzione dello spazio per il dissenso e le crescenti paure di coloro che sono più vulnerabili al cambiamento climatico. L’immagine delle proteste silenziose a Baku, dove gli attivisti si sono limitati a schioccare le dita e a canticchiare i loro slogan, è un simbolo efficace dello spazio limitato per il dissenso e dell’urgente necessità di un approccio più coraggioso e trasformativo per affrontare la crisi climatica.

(Foto di Matthew TenBruggencate su Unsplash)

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