Il Consiglio di stato potrebbe rimettere in discussione la “rendita di posizione” dei concessionari balneari. Intanto, però, la progressiva scomparsa delle spiagge libere non si ferma. L’articolo di Riccardo Germano per Lavoce.info.

Vecchi problemi, nuovi interrogativi

È attesa per l’autunno la pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di stato su una questione particolarmente importante. Il dubbio è, in estrema sintesi, se i giudici e i funzionari della Repubblica italiana siano tenuti a disapplicare le leggi che, in violazione del diritto dell’Unione europea, stabiliscono “proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreativa”. Il collegio dovrà anche decidere, tra le altre cose, se da una risposta affermativa discenda il dovere per le amministrazioni locali di annullare d’ufficio (cioè senza attendere l’annullamento di un giudice) le concessioni sinora emanate in violazione del diritto dell’Unione europea.

La situazione è, infatti, piuttosto caotica: funzionari pubblici e i giudici amministrativi si sono divisi, negli ultimi tempi, fra chi ha ritenuto la cosiddetta direttiva Bolkestein (direttiva 2006/123/Ce) direttamente applicabile nel sistema giuridico interno, a discapito delle leggi di proroga delle concessioni, e chi ha ritenuto doveroso continuare ad applicare le proroghe, benché in contrasto col diritto dell’Unione europea (spostando, quindi, il problema sul piano delle scelte politiche dello stato membro e dell’eventuale sua responsabilità per mancata attuazione del diritto dell’Unione europea). Di qui l’opportunità di un’interpretazione uniforme da parte dell’Adunanza plenaria.

A monte del quesito stanno problemi ben noti: da un lato, la ricorrente e generalizzata proroga delle concessioni balneari, già dichiarata incompatibile col diritto dell’Unione europea (Corte di giustizia dell’Unione europea, cause riunite C-458/14 e C-67/15); dall’altro, i canoni perlopiù esigui, se paragonati al valore socioeconomico del litorale italiano, di cui beneficiano molti dei concessionari in virtù delle proroghe. La relazione tecnica all’art. 100 del decreto-legge 104/2020, che ha disposto l’ennesima proroga automatica delle concessioni in essere, riportava che nell’anno 2019 più del 70 per cento delle concessioni sul demanio marittimo con qualunque finalità (non solo turistico-ricreativa, a scanso di equivoci) prevedeva un canone di importo annuo inferiore a 2500 euro, ora divenuto importo minimo per legge.

Minima concorrenza e minimo rischio d’impresa per svariate migliaia di concessionari che, come se non bastasse, possono far ricorso a subconcessioni (art. 45-bis Codice della navigazione): in questa maniera, come afferma l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, “a causa dei ridotti canoni che essi versano all’amministrazione cedente” possono ricavare “un prezzo più elevato rispetto al canone concessorio, che rifletterà il reale valore economico e l’effettiva valenza turistica del bene”. Un privilegio per pochi, pagato da tutti: oltre al danno indiretto alle finanze pubbliche, c’è il danno all’aspirante operatore che vorrebbe competere per l’assegnazione di una concessione in piedi da decenni, ma non può, e il danno al consumatore che paga un prezzo frutto di “ingiustificate rendite di posizione”, come ricorda l’Agcom.

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(Foto di Karsten Winegeart su Unsplash )

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