Chi si occupa di informazione sulla salute ha una grande responsabilità verso il pubblico di lettori e telespettatori. Un allarme lanciato con troppa disinvoltura, sulla base di informazioni non verificate, può orientare i comportamenti delle persone in direzioni opposte a quelle raccomandate dalla comunità scientifica, con conseguenze anche gravi.
È il caso, come si ricorderà, della tesi accusatoria ai danni del vaccino antinfluenzale alla fine del 2014. Il 27 novembre di quell’anno fu diffusa da tutti i telegiornali nazionali la notizia che il “vaccino killer” contro l’influenza aveva causato la morte di alcune persone. Si trattava solo di un’ipotesi, che però ha fatto gola ai direttori di tiggì e giornali, che non hanno resistito alla tentazione di tirare fuori dal cassetto certe espressioni parassite (così le definisce lo scrittore Paolo Nori), come appunto “vaccino killer”, ma anche “iniezione letale”, “morti sospette”, ecc. Un allarme che non ha trovato alcun riscontro, ma che nonostante le smentite degli istituti di ricerca e delle istituzioni ha comunque prodotto conseguenze molto tangibili: secondo quanto emerso dal Congresso nazionale della Società italiana per la prevenzione cardiovascolare all’inizio del 2015, quell’allarme, e il conseguente calo di vaccinazioni antinfluenzali registrato dopo quell’annuncio, è stato “complice” della morte di 8mila persone, decedute in seguito a complicanze relative alla mancata vaccinazione.
Ciò che colpisce è che, come potete vedere cliccando sui link pubblicati fin qui, tutti quegli articoli che denunciavano un’emergenza inesistente, individuando al contempo un probabile responsabile, sono tuttora presenti sui server delle testate che li hanno pubblicati, senza che vi sia stato un aggiornamento, o che si sia aggiunto un incipit per avvertire il lettore che quanto leggerà è stato in seguito sconfessato.
Allo stesso modo, in questi giorni si è scatenato un altro allarme, quello dei batteri resistenti agli antibiotici. Il Fatto Quotidiano tira fuori un’altra parola parassita in questi casi, ossia l’incubo: il batterio diventa “batterio degli incubi” nel titolo di un articolo pubblicato il 27 maggio (c’è da dire che, in molti dei casi a cui stiamo facendo riferimento, alle esagerazioni dei titoli non corrisponde un’altrettanto esagerata caricatura degli articoli, in quando spesso sono persone diverse a scrivere gli uni e gli altri). In questo caso si sfrutta la memoria corta dei lettori, visto che lo stesso allarme era stato lanciato ad aprile dello scorso anno. E infatti c’è anche chi parla di un risultato atteso, per quanto preoccupante.
Ultimamente c’è poi stato il caso della trasmissione Ballarò, che ha dedicato parte della puntata del 24 maggio (a partire da 1h 54′ circa) a discutere di (ma sarebbe meglio dire riabilitare le) “cure omeopatiche” (di cui abbiamo già parlato). In questo caso, si è caduti in due trappole molto comuni (o meglio, le si è tese al telespettatore), tra quelle ricordate da Fabrizio Binacchi (direttore della sede Rai dell’Emilia-Romagna) nel corso dell’incontro “Informazione e sanità”, che si è tenuto ieri a Bologna nel palazzo della Regione Emilia-Romagna. La prima è quella della “trasmissione macedonia”, ossia un programma nel quale si passa con disinvoltura da un argomento all’altro, guidati solo dal fatto di coprire argomenti che possano suscitare ascolti e interesse. Nella stessa sera, la trasmissione condotta da Massimo Giannini ha parlato: di referendum costituzionale, di un film su Paolo Borsellini, di pensioni, dei programmi dei candidati a sindaco di Roma. E poi di omeopatia.
Con quale credibilità si può vagare tra argomenti così distanti sperando di fare informazione seria e approfondita? L’altra trappola è quella del “risultato positivo”. Si dà cioè rilevanza e visibilità a pochi casi (tra cui quello dello stesso conduttore, che rinuncia al suo ruolo super partes per portare esempi della sua vita familiare) in cui le “cure” in questione hanno (o si presume abbiano) dato risultati positivi, per giungere alla conclusione che, seppure le prove scientifiche manchino del tutto, qualcosa di vero ci dev’essere. L’effetto è molto suggestivo, e solo lo spettatore ben informato è in grado di non farsi coinvolgere in questa “macedonia” di interventi e servizi che hanno il chiaro obiettivo di instillare il dubbio, più che dare spazio ai risultati delle ricerche più accreditate. Un approccio che, di sicuro, fa aumentare gli ascolti. Ma è informazione questa?
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