Nei giorni scorsi il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, si è congratulata con i “nostri ricercatori” per l’alto numero di borse di studio assegnate a ricercatori italiani nell’ambito dell’Erc Grant, un’importante bando europeo. La ricercatrice Roberta D’Alessandro le ha fatto notare che la maggior parte delle borse di studio assegnate a italiani (17 su 30) saranno spese in istituti stranieri, quindi l’Italia ha poco da festeggiare. «Ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati – scrive D’Alessandro –. La mia Erc e quella del collega Francesco Berto sono olandesi, non italiane. L’Italia non ci ha voluto, preferendoci, nei vari concorsi, persone che nella lista degli assegnatari dei fondi Erc non compaiono, né compariranno mai». Il messaggio si conclude con l’amara considerazione per cui in Italia, nonostante il gran parlare di meritocrazia negli ultimi anni, le persone valide ma prive di una rete di relazioni efficaci non riescono a farsi strada nella ricerca: «Vada a chiedere alla vincitrice del concorso per linguistica informatica al Politecnico di Milano (con dottorato in estetica, mentre io lavoravo in Microsoft), quante grant ha ottenuto. Vada a chiedere alle due vincitrici del concorso in linguistica inglese, senza dottorato, alla Statale di Milano, quanti fondi hanno ottenuto. Vada a chiedere alla vincitrice del concorso di linguistica inglese, specializzata in tedesco, che vinceva il concorso all’Aquila (mentre io lo vincevo a Cambridge, la settimana dopo) quanti fondi ha ottenuto. Sono i fondi di queste persone che le permetto di contare, non i miei».
Il sito Uninews24 ha pubblicato un articolo in cui mette in luce un altro aspetto importante della vicenda, ossia la bilancia del bando europeo tra i ricercatori italiani che lasciano il Paese perché “spendere” la propria borsa all’estero e quelli stranieri che scelgono l’Italia per il proprio progetto. Questi ultimi sono pari a zero. Gli italiani che lasceranno il Paese per andare altrove, come detto, sono 17. Gli unici, tra i vincitori di questi bando, a scegliere l’Italia per fare ricerca sono i 13 italiani rimanenti. La cosa ha un peso particolare perché, nel caso dell’Erc, chi vince il bando ha un certo margine di libertà su dove andare: «Indipendentemente dalla sua sede di provenienza – spiega Uninews24 –, il ricercatore che vince il progetto è libero di andare a svolgerlo presso l’istituzione che ritene più consona portandosi appresso il suo “gruzzoletto” (come direbbe il nostro premier, che nel presentare le Cattedre Natta aveva chiaramente in mente questo modello)». Un confronto con altri Paesi è dunque significativo. Per esempio il Regno Unito vedrà 6 ricercatori andare all’estero, mentre 26 britannici resteranno nel Paese. A questi si aggiungono però ben 41 stranieri che hanno scelto l’Inghilterra come sede del proprio progetto.
Ciò conferma quanto si dice da tempo, ossia che siamo un Paese dal quale molte grandi menti preferiscono (o sono costrette a) fuggire. Come Marco Drago, ricercatore 33enne che ha contribuito alla rilevazione delle onde gravitazionali – una scoperta che si candida al prossimo Nobel per la fisica – che lavora ad Hannover. «Io vorrei tornare in Italia – ha dichiarato a La Stampa –. Sono partito all’estero un po’ per fare esperienza e un po’ perché in Italia non mi è stata data la possibilità di rimanere all’interno del campo delle onde gravitazionali. Ma mi piacerebbe ritornare nel mio Paese».
Si lascia l’Italia per diversi motivi: su tutti «l’assenza dei fondi di ricerca (solo 92 milioni per la ricerca di base negli ultimi tre anni), l’incertezza della carriera (le cosiddette Abilitazioni Scientifiche sono ferme da anni!) e nella retribuzione (i nostri docenti si sono visti congelare gli stipendi per ben 5 anni)». Per quanto quindi la politica sia molto rapida ed efficiente ad appropriarsi di meriti che non ha, la sua più grave pecca è quella di non saper ascoltare i ricercatori. Come fa notare Roberta D’Alessandro in un’intervista, si sta ignorando la voce di una massa critica che ha delle buone motivazioni per lamentarsi, e che rappresenta la maggioranza della ricerca italiana: «A me pare di vedere che i ricercatori non siano ascoltati. Non stanno protestando in dieci, ma quasi tutti: significa che non c’è comunicazione!». Già, nel governo c’è molta più presenza sui social network che disponibilità a incontrarsi intorno a un tavolo, ascoltare e discutere.