La spinta all’aumento della ricerca militare in Europa è una questione complessa, con implicazioni significative per il futuro della ricerca scientifica. Un recente articolo pubblicato su Nature evidenzia come, sulla spinta del conflitto in corso in Ucraina, si stia assistendo a una crescente spinta a incrementare la ricerca militare, suscitando un acceso dibattito nel mondo accademico europeo. La Commissione europea sta esplorando le modalità per incorporare la ricerca dual-use, ovvero quella che ha applicazioni sia civili che militari, nei suoi principali programmi di ricerca, un’iniziativa che ha incontrato la resistenza delle università.

Questa iniziativa segna un allontanamento dalle dinamiche del secondo dopoguerra, quando erano i laboratori militari a guidare l’innovazione, con le applicazioni civili che fungevano da spin-off. Oggi, invece, le forze armate cercano di “coinvolgere” l’innovazione delle università e dell’industria. Questo cambiamento avviene in concomitanza con l’aumento della spesa per la difesa da parte dei Paesi europei, con una crescita degli investimenti del 10% tra il 2022 e il 2023, raggiungendo i 279 miliardi di euro. Anche il Fondo europeo per la difesa (FES), il principale finanziatore dell’UE per la ricerca e lo sviluppo militare, vedrà aumentare il suo bilancio da 1,2 a 2,7 miliardi di euro per il periodo 2021-27.

Un importante punto di contesa è la proposta di integrare la ricerca dual-use nel principale programma di ricerca civile dell’UE, potenzialmente nel prossimo “programma quadro” noto come PQ10, che inizierà nel 2028. Molti esponenti della comunità accademica temono che questa mossa aumenti la burocrazia, riduca la cooperazione internazionale e distolga risorse dalla ricerca civile. Questa parte della comunità scientifica propone invece di rafforzare i programmi di finanziamento civili e militari come ambiti separati.

La spinta ad aumentare la ricerca militare non è uniforme in tutta Europa. La Germania, con la sua storia di politiche pacifiste dopo la Seconda guerra mondiale, presenta un caso particolarmente complesso. Molte delle sue istituzioni accademiche hanno “clausole civili” nelle loro dichiarazioni di missione che vietano la ricerca militare. Tuttavia, il governo tedesco sta ora incoraggiando le istituzioni a riconsiderare questa posizione, stanziando 100 miliardi di euro per il potenziamento delle forze armate. Il ministero federale della Ricerca ha invitato i ricercatori a rivalutare la separazione tra ricerca civile e militare e a studiare modi per incentivare la collaborazione tra i due settori. Anche alcuni governi regionali hanno adottato misure per incoraggiare o addirittura richiedere alle università di collaborare con le forze armate. Ciò ha provocato disagio tra gli accademici, alcuni dei quali temono conseguenze per la loro carriera se esprimono le loro preoccupazioni.

La situazione è ulteriormente complicata da preoccupazioni etiche, con alcuni ricercatori che si oppongono alla ricerca militare. L’accesso ai finanziamenti e alle collaborazioni, le potenziali restrizioni sulle pubblicazioni e un mercato ristretto per i prodotti sono altri fattori che influenzano l’impegno dei ricercatori. La spinta verso un aumento della ricerca militare solleva preoccupazioni circa una potenziale “porta di servizio finanziaria” che potrebbe spostare gli obiettivi della scienza.

(Foto di Kevin Woblick su Unsplash)

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