Uno degli aspetti più interessanti di internet è il suo essere un luogo che continuamente ragiona su se stesso. Tra forum, blog e siti d’informazione la discussione è sempre accesa su quale sia la vera “rivoluzione” di internet nella vita delle persone. Per Mark Zuckerberg, internet è sinonimo di libertà (e aggiungeremmo di business, visto il mestiere che fa). Per il fondatore di Facebook una delle sfide più importanti del futuro è portare internet ai 5 miliardi di persone che ancora non vi hanno accesso. Un’impresa non da poco, che a sentire le parole Zuckerberg è un passo imprescindibile verso la democrazia, perché le persone «vogliono usare il web per decidere che tipo di governo desiderano, per avere accesso all’assistenza sanitaria, per connettersi con membri della propria famiglia a centinaia di chilometri di distanza che non si riescono a incontrare per decenni».
Ma siamo sicuri che l’interconnessione globale sia sufficiente ad ampliare i margini di libertà dei cittadini di tutto il mondo? Tu che stai leggendo, e che probabilmente risiedi in un Paese democratico in cui hai libero accesso all’informazione priva di censura, ti senti più libero da quando c’è internet? L’informazione è più libera di prima? Si può dire che su internet vi siano meno controlli sulla circolazione di notizie rispetto ai media tradizionali? Un tempo, forse, quando gli Stati e gli organismi internazionali non avevano i mezzi e le conoscenze (o non credevano abbastanza nel nuovo medium) per intervenire sulla circolazione di informazioni in rete. Oggi sequestrare server non è più un grosso problema, e poco importa se in essi sono contenuti dati di cittadini che agivano nel rispetto della legge. In caso di sospetta violazione delle norme da parte dei proprietari del server quei dati non sono più degli utenti, ma delle autorità, che in nome della giustizia ne faranno ciò che vogliono. Generalmente, di questi sequestri si parla poco, perché ai media tradizionali (anche quando operano su internet) non interessa molto dare copertura a questo tipo di eventi, difficili da spiegare e privi di elementi sensazionali evidenti.
Tornando ai social network e alla questione della libertà, stavolta di espressione, va ricordato che quasi sempre non è un soggetto esterno a imporre le sue logiche, ma ad agire in maniera molto più incisiva è una forza molto più pericolosa: l’autocensura. Spesso chi scrive su internet lo fa in un modo che spinge inconsapevolmente verso la definizione di un pensiero omologato, dal quale è molto difficile uscire, pena l’esclusione dalla grande arena sociale. Né più né meno ciò che accade fuori da internet. Come scrive in maniera provocatoria un blogger piuttosto attento alla questione, Uriel Fanelli: «Internet è morta. Non perché sia cessata l’infrastruttura, ma perché sono arrivati i dittatori , i tiranni, i giudici, i persecutori ed i carnefici: sono arrivate in massa “le persone normali”. Sulle BBS (Bulletin board system, ndr) ci trovavi le disavventure delle persone. […] Ci trovavi quella che il padre aveva perso il lavoro, ci trovavi quello che si era preso un occhio nero facendo a cazzotti. Ci trovavi la realtà. Adesso andate su Facebook: è la fiera delle vanità. Un occhio nero? Ma va. A chi, a me? Disoccupata? Ma no, “in cerca di nuove sfide”. Avete mai visto qualcuno chiedere davvero aiuto per sé su Facebook? No. Chiederanno aiuto per altri, ma per sé sono tutti autosufficienti, vincenti, ricchi. Sapete perché in un mondo reale che va in rovina su Facebook sono tutti ricchi, vincenti, felici, belli e divertenti? Perché se non sei così, il Dio Tutti ti punisce. […] Quando non dici quel che pensi perché i vicini ti ascoltano. Quando non dici quel che pensi perché il tuo capo ti legge. Quando non dici quel che pensi perché lo Stato ti legge. Quando non dici quel che pensi perché hai paura degli avvocati. Sei prigioniero esattamente quanto lo sei fuori nel momento in cui non esprimi qualcosa che provi perché temi il giudizio altrui, su Facebbok, su Twitter, ovunque: ormai ci sono persone che devono dimettersi per un twit, che vengono processate e condannate dai giudici del Dio Tutti per uno status su Facebook».
La cosa paradossale è che magari state leggendo queste riflessioni dalla nostra pagina Facebook, e allora forse tutto si ridimensiona, perché se tramite la piattaforma di Zuckerberg siamo riusciti a darvi uno stimolo su cui riflettere vuol dire che ci sono ancora ampi margini di libertà di espressione. E come a noi non interessa essere omologati e allineati, ci auguriamo che anche i nostri lettori si sentano liberi di esprimere le proprie idee, anche se “diverse”, in maniera libera e incondizionata.