Quello che dà il titolo a questo articolo è il tema scelto quest’anno dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per celebrare la Giornata mondiale per la salute mentale 2023, che ricorre oggi.

Nel suo testo di presentazione della giornata, l’OMS elabora il concetto ulteriormente, sottolineando che chiunque, ovunque si trovi, ha diritto a essere protetto dai rischi per la salute mentale, a cure accessibili e di buona qualità e il diritto alla libertà, all’indipendenza e all’inclusione nella propria comunità.

Questi i principi, ma a livello globale, prosegue l’OMS, una persona su otto soffre di disturbi mentali che possono avere un impatto sulla salute fisica, sul benessere, sul modo di relazionarsi con gli altri e sui mezzi di sussistenza. Il problema colpisce peraltro un numero crescente di adolescenti e giovani. Un problema di salute mentale non dovrebbe mai essere un motivo per privare una persona dei suoi diritti umani o per escluderla dalle decisioni sulla propria salute. Eppure, in tutto il mondo, le persone con problemi di salute mentale continuano a subire un’ampia gamma di violazioni. Molti sono esclusi e discriminati, mentre molti altri non possono accedere alle cure di cui hanno bisogno o possono accedere solo a cure che violano i loro diritti umani.

In Italia il sistema che si occupa della salute mentale presenta numerosi problemi. «In Italia sarebbero 4,5 milioni le persone con problemi di salute mentale – scrive Redattore Sociale –. Solo circa 900 mila fanno riferimento ai centri di salute mentale. Un fenomeno in aumento specialmente tra i giovani: nella fascia 15-19 anni il suicidio risulta la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. Ad aumentare il disagio negli ultimi tre anni il Covid, la guerra, la crisi economica e l’inflazione».

Sul manifesto, Maria Grazia Giannichedda fa un’analisi più ampia, in particolare in merito al tema della giustizia psichiatricha, a partire da un recente caso di cronaca. «Va ripresa invece la questione psichiatria e giustizia, perché solo da qui può passare un rilancio vero del sistema della salute mentale in Italia ormai ridotto in miseria, che certo ha bisogno di più soldi ma anche di riprendere a ragionare e fare ricerca sui propri strumenti, sui modelli organizzativi, sui fondamenti. La “legge 180” ha liberato la psichiatria dal controllo della pericolosità, anche nel momento del trattamento obbligatorio. La pericolosità resta un compito di polizia e giustizia penale che non sono esentate dall’eseguirlo anche quando la persona presenti un disturbo mentale. Questa è la legge, che quindi obbliga a costruire protocolli di comunicazione e collaborazione tra psichiatria e giustizia, dei quali fa parte, quando è inevitabile, anche la cura di una persona in condizioni di sofferenza mentale sottoposta a misure restrittive o detenuta. Questi protocolli ci sono, ma non ovunque, comunicazione e collaborazione lasciano a desiderare, mentre i servizi di salute mentale troppo spesso sembrano non aver interiorizzato affatto la fine del mandato al controllo, sembrano organizzati cioè come se pensassero ancora al malato di mente pericoloso e incapace, con cui non si può interloquire né negoziare, da sedare e custodire per poterlo poi curare. Come spiegare altrimenti il fatto che la gran parte degli Spdc (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura, ndr) hanno porte e finestre chiuse, minimi o assenti spazi esterni, usano i rituali di spoliazione degli oggetti, costringono alla vita in pigiama, usano la contenzione meccanica insieme a quella farmacologica?».

Col sangue si fanno un sacco di cose

Le trasfusioni di sangue intero sono solo una piccola parte di ciò che si può fare con i globuli rossi, le piastrine, il plasma e gli altri emocomponenti. Ma tutto dipende dalla loro disponibilità, e c’è un solo modo per garantirla.

Si comincia da qui