I pareri sull’ultimo DPCM varato dal governo sono piuttosto unanimi: l’esecutivo ha scelto di attendere, di non prendere misure drastiche per arginare l’andamento della pandemia, che da settimane ha ripreso a correre. “Drastiche” non è sinonimo di lockdown, sia chiaro, bensì di “energiche, risolute, efficaci”. Che il fulcro della pandemia sia concentrato nelle sagre e non sui mezzi pubblici? Il dibattito è aperto. Chiudere di nuovo tutto sarebbe una sconfitta, un colpo dal quale la nostra economia non sarebbe in grado di riprendersi. Però procedere come a marzo-aprile-maggio, a piccoli passi, progressivi, è ancora accettabile? «Il governo ha dunque il dovere di salvaguardare occupazione, redditi e profitti – ha scritto Claudio Tito ieri su Repubblica –. Ma deve farlo agendo. Ed invece appare sistematicamente in ritardo. Quasi impaurito. Rassicurato in primo luogo dalla tattica del rinvio, tranquillizzato dalle opzioni necessitate e non da quelle facoltative e volontarie. Non basta, come ha fatto ieri il capo del governo, rovesciare un po’ di responsabilità sui sindaci per poi stare a vedere che succede. Nonostante le sue dichiarazioni, il Paese ha assistito ad alcuni ritardi che potrebbero rivelarsi negativamente determinanti. Si è perso del tempo prezioso: sui trasporti, sulla scuola, sulla riorganizzazione e ampliamento delle terapie intensive. Il Mes – che se attivato qualche mese fa avrebbe consentito di inondare di 37 miliardi il nostro sistema sanitario nazionale – è stato una “non scelta”. Non sono state messe sulla bilancia le convenienze o le onerosità su cui comunque si può discutere. È stato semplicemente ignorato per paura, per il timore di dover affrontare l’ostilità pregiudiziale di una parte della maggioranza».

Tracciare i contatti

Cosa si è fatto, rispetto a quanto promesso, per migliorare la rete di tracciamento dei contatti? Il 20 maggio pubblicavamo un articolo dal titolo piuttosto ovvio su questo tema. Proprio il giorno prima veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto “Cura Italia” che, come ricorda Giuliano Foschini, tra i suoi articoli prevedeva questo: «Al fine di rafforzare l’offerta sanitaria e sociosanitaria territoriale necessaria a fronteggiare l’emergenza epidemiologica, le regioni sono chiamate ad adottare piani di potenziamento e riorganizzazione della rete assistenziale. Questi piani devono contenere specifiche misure di identificazione e gestione di contatti, indirizzate a un monitoraggio costante e a un tracciamento precoce dei casi e dei contatti, per la relativa identificazione dell’isolamento e del trattamento». Una raccomandazione che è rimasta lettera morta, più o meno. Foschini cita dati del Ministero della sanità, secondo cui «non siamo in grado di sapere dove e come si è contagiato un positivo su tre. La scorsa settimana sono stati registrati “9.291 casi nei quali non si è trovato un link epidemiologico, il 33 per cento di tutti i casi segnalati nella settimana”. Che la situazione sia fuori controllo è certificata da un’altra circostanza: i casi ‘non tracciati’ sono raddoppiati nel giro di una settimana, passando da 4.041 a 9.291. A oggi in Italia lavorano 9.241 tracciatori, o comunque dipendenti dei vari servizi di Prevenzione. A inizio dell’epidemia erano 8.900. Sono meno di quattrocento in più, quindi, quando invece il Governo aveva promesso (e messo per iscritto) il rafforzamento delle strutture, con almeno il 30 per cento in più di addetti».

Gli altri malati

Il 4 giugno pubblicavamo un articolo intitolato Il difficile ritorno alla normalità negli ospedali. Si parlava di tutte le difficoltà che stavano vivendo le strutture ospedaliere, impegnate a recuperare mesi di visite e interventi “non urgenti” rimandati a causa dello scoppio della pandemia. Purtroppo rischiamo qualcosa di simile anche stavolta. «Sono convinto che non dobbiamo parlare solo di coronavirus, il che non vuol dire abbassare la guardia, ma non ripetere gli errori della prima fase», ha detto alla Stampa l’ immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’ Humanitas di Milano. «I numeri sul cancro sono drammatici. Nei mesi scorsi abbiamo perso un milione e mezzo di esami senologici e ci sono dati simili su altri tumori. Le persone hanno paura di ospedali e ambulatori e questo provoca danni enormi, mentre tutto si può fare in sicurezza».

Se ci auto-citiamo non è per presunzione, ma per sottolineare il fatto che ci siamo arrivati perfino noi, che non facciamo politica né siamo virologi o immunologi, ma ci limitiamo a fare domande, a noi stessi e a chiunque sia in ascolto. Possibile che tra task force e commissari speciali non si riesca a partorire niente di meglio?

(Foto di sk su Unsplash)