Sin dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, scienziati e politici si interrogano su come porsi nei confronti della comunità scientifica russa. Il problema si è presentato anche in altri ambiti, per esempio quello sportivo, in cui diversi enti organizzatori di grandi competizioni hanno deciso di escludere le rappresentanze russe dalle gare. Addirittura in alcuni casi si è arrivati a escludere atleti russi anche quando non gareggiavano per rappresentare il proprio paese, ma erano invece iscritti a titolo individuale. Questo ha generato discussioni e dibattiti sul fatto che sia o meno opportuno mantenere aperto un dialogo oppure se sia più opportuno “tagliare i ponti” con la Russia.

Tre accademici (due docenti e un ricercatore) ne hanno scritto in un post pubblicato su Frontiers Policy Labs e su un blog della London School of Economics concludendo che, in senso strategico, è molto più utile mantenere aperto il canale di comunicazione con scienziati che operano in stati in cui non vige la democrazia, come l’attuale Russia. Di più, gli autori considerano «la collaborazione scientifica come un possibile strumento per mantenere aperte le linee di dialogo tra Stati in conflitto. La logica è che gli scienziati parlano la stessa “lingua”, che può intrecciare le culture e creare fiducia, indipendentemente dalle animosità politiche tra i governi».

La reazione dell’Occidente all’invasione russa è stata finora piuttosto decisa, per quanto attraversata da un continuo confronto tra opinioni contrastanti. Ma, avvertono i tre accademici, la concitazione del momento può impedirci di vedere le implicazioni di una completa rottura dei legami con la Russia. La collaborazione scientifica – l’essenza della diplomazia scientifica – è un’area che richiede di essere considerata attentamente, prima di decidere di rinunciarvi.

Certo non può trattarsi di una collaborazione ampia e onnicomprensiva. L’Occidente, spiegano gli autori, ha fatto bene a escludere la Russia dalla ricerca su attrezzature e beni a “duplice uso” che potrebbero rafforzare la sua capacità di condurre guerre e compiere altre azioni criminali.

Tuttavia, le sanzioni contro la comunità scientifica russa sembrano andare ben oltre. Dalla microbiologia all’esplorazione spaziale, ci sono migliaia di collaborazioni con scienziati russi che non hanno alcun legame evidente con la guerra. EURUCAS e CARE, progetti che mirano rispettivamente a far progredire la ricerca artica e a combattere malattie come l’HIV e la tubercolosi, sono esempi recenti di scienza collaborativa orientata a problemi che travalicano i confini politici. L’Archivio europeo dei virus è un altro esempio di coinvolgimento della Russia in un circuito globale finalizzato alla soluzione di problemi universali. «Espellere gli scienziati russi da progetti comuni volti ad affrontare problemi apolitici e senza confini non farà cambiare idea a Putin, né aiuterà l’Ucraina in modo significativo – scrivono gli autori –. Al contrario, indebolisce l’obiettivo di trovare soluzioni condivise a problemi comuni».

Secondo l’articolo, le sanzioni scientifiche dovrebbero avere un approccio più selettivo, valutando caso per caso: «Ad esempio, sarebbe difficile giustificare il mantenimento dell’apertura con l’agenzia spaziale russa (Roscomos), dati i suoi legami politici con il Cremlino. Dopo l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia, la Roscomos ha trasferito lì il suo campo di addestramento per cosmonauti. Pur essendo una sfortunata vittima di questa guerra, l’esplorazione spaziale è un’attività molto istituzionalizzata e la Roscomos è un’istituzione che diffonde la politica del Cremlino al punto da rendere la cooperazione con questa istituzione inappropriata».

Il progresso scientifico non può dunque permettersi di essere nazionalista quando è necessaria una collaborazione transfrontaliera per affrontare sfide globali che richiedono il contributo di tutti gli scienziati.

Se la diplomazia scientifica è il perseguimento di obiettivi di politica estera attraverso la scienza, concludono gli autori, allora i canali scientifici aperti sviluppati negli ultimi decenni dovrebbero essere preservati. Tagliare i ponti lascia gli scienziati russi alla mercé di un regime che vuole schiacciare la libertà di ricerca che è alla base del loro lavoro.

(Photo by Pavel Neznanov on Unsplash)

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