I risultati delle ricerche scientifiche in cui ci imbattiamo possono spesso apparire contraddittori. Ci sono studi che dicono che il vino rosso fa bene al cuore, altri che dicono il contrario. Nell’ultimo anno, la ricerca sul COVID-19 ha offerto conclusioni opposte sull’efficacia complessiva di indossare una mascherina, per esempio. Il fatto è che nel discutere su quale sia la strategia più adatta per affrontare l’emergenza sanitaria, gli scienziati attingeranno a centinaia di studi, alcuni dei quali dicono che le mascherine sono efficaci, mentre altri stabiliscono che da sole non sono sufficienti.

A questo aggiungiamo che, come abbiamo scritto, in un recente articolo, spesso le logiche delle pubblicazioni accademiche portano alla diffusione di articoli irrilevanti, nati più dall’esigenza del ricercatore di mettere un altro titolo in curriculum che dal reale interesse nella cosa studiata.

Perché vale la pena preoccuparsi di come e quando gli scienziati decidono di condividere il loro lavoro? Se lo sono chiesto Haixin Dang e Liam Kofi Bright, in un articolo uscito su Nautilus. Una delle risposte è prevenire la minaccia della disinformazione. Ma non è tutto. Allo stato attuale, spiegano i due ricercatori, c’è una discrepanza tra le regole con cui gli scienziati scrivono rispetto a quelle con cui i “profani “leggono. E dato che i non scienziati sono chiamati quotidianamente a prendere decisioni importanti sulla base dei risultati scientifici, una potenziale cattiva comunicazione rende possibili errori anche gravi.

Talvolta si tratta di piccole cose, che si risolvono nell’ambito della discussione teorica scientifica e dopo un po’ di tempo vengono riassorbite. Ma, fanno notare gli autori, è l’impatto collettivo di questi errori a contare. Ognuno di essi erode la nostra fiducia nella scienza. Ma, chiarendo meglio a cosa serve la produzione scientifica in generale, si può arginare in parte questa sfiducia.

Il filosofo Karl Popper, spiegano, disse una volta che la scienza ha bisogno di ipotesi audaci e tentativi di confutazione. Essere aperta alla confutazione è uno dei principi più apprezzati della scienza, ma oggi si tende a sottolinearne fin troppo l’importanza, a discapito dell’altro elemento: «Noi vogliamo fare eco a Popper e sottolineare che sono necessarie anche ipotesi audaci – scrivono i ricercatori –. E non basta, serve che gli scienziati abbiano anche i mezzi per promuovere al massimo le loro migliori ipotesi». Ed ecco che entra in scena il sistema delle pubblicazioni scientifiche, che permette agli scienziati di filtrare quali congetture vale la pena pubblicare e prendere sul serio, senza però essere così rigido da impedire loro di viaggiare con la fantasia.

Nel guardare alla scienza bisogna capire che essa ragiona in modo diverso rispetto alla nostra esperienza di vita quotidiana. «Se vi chiedo dove mettete le chiavi, non sto davvero cercando le vostre tesi più audaci sulla ferramenta. Voglio solo sapere dove sono le chiavi. Uno scopo così umile richiede in realtà che, per essere in buona fede, il mio interlocutore soddisfi un alto standard conversazionale di affermazione. I filosofi hanno esplorato quali norme costituiscono un tale standard. […] Alcuni pensano che si debba sapere che ciò che si afferma è vero. Altri che, anche se non lo sai, devi almeno avere delle spiegazioni per le tue affermazioni. E altri pensano che, anche se non sai né hai spiegazioni, devi almeno essere sincero e credere che lo sai, o che è spiegabile».

Fortunatamente, sostengono gli autori, queste norme di affermazione non vincolano l’indagine scientifica: «I ricercatori devono essere costantemente aperti a farsi sorprendere dalla natura, liberi di esplorare lo spazio concettuale».

Un altro motivo per cui oggi circolano in generale più idee scientifiche è che i ricercatori spesso comunicano tra loro al di fuori delle sedi tradizionali di pubblicazione. Ci riferiamo alle uscite preprint pubblicate su archivi online come medRxiv e bioRxiv. I giornalisti scientifici fanno sempre più affidamento su articoli che non sono sottoposti a peer-review. Questo significa che gli scienziati possono conoscere le ricerche dei colleghi più velocemente e con più facilità di prima. Non hanno più bisogno di passare attraverso una rivista, e la revisione tra pari, per comunicare le proprie idee nuove e provocatorie.

«Ma questa apertura – concludono i ricercatori –, naturalmente, può anche portare a fraintendere lo scopo degli articoli scientifici. I preprint sono lontani dall’essere scoperte definitive e affidabili. Quello a cui stiamo assistendo è il processo scientifico in azione: un’ipotesi carica di disordine e ispirazione. Faremmo bene a ricordarcelo».

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