
Nell’estate di guerra tra Israele e Palestina, due amici scrittori hanno tenuto una corrispondenza sul tema della pace e della possibile convivenza tra israeliani e palestinesi. Sayed Kushua, arabo-israeliano, scrive dagli Stati Uniti, dove si è rifugiato, con rammarico, in cerca di una vita serena per i suoi figli. Gli risponde Etgar Keret, ebreo, che invece è rimasto a Gerusalemme. Alla fine della prima lettera, prima dei saluti Kushua fa una richiesta precisa all’amico in merito ai contenuti della risposta che si aspetta: «Puoi mentire se vuoi, ma ti prego, Etgar, raccontami una storia a lieto fine». Keret prende alla lettera la richiesta, e ne esce un racconto fantastico un po’ surreale – a metà tra Italo Calvino e Gianni Rodari – e commovente. Ne pubblichiamo un estratto.
Il 2015 segnò una svolta storica in Medio Oriente e tutto grazie all’idea brillante di un rifugiato arabo-israeliano. Una sera, lo scrittore era seduto in veranda nella sua casa a Urbana, nell’Illinois, e fissava le sconfinate distese di mais che si perdevano in lontananza. Alla vista di quell’immensità, gli venne in mente che forse i guai che travagliavano il suo paese d’origine erano dovuti al semplice fatto che non c’era abbastanza posto per tutti. «Se potessi soltanto mettere in valigia questi campi», si disse, «ripiegandoli per bene per farceli stare tutti, me li porterei in aereo in Israele. Passerei la dogana seguendo la striscia verde per coloro che non hanno nulla da dichiarare, perché non avrei con me materiale sovversivo né altro da sottoporre all’ispezione. Una volta a casa, non dovrei far altro che tirarli fuori ed ecco fatto, di colpo ci sarebbe abbastanza terra per tutti, per i palestinesi e per gli israeliani, e ne resterebbe persino un po’ per costruirci sopra un immenso parco dei divertimenti, dove i due popoli farebbero confluire tutte le conoscenze e le tecnologie, oggi destinate alla produzione di armi, per innalzare invece le più straordinarie montagne russe del pianeta».
Era molto emozionato quando entrò in casa e si mise a spiegare la situazione alla moglie, ma questa si rifiutò di condividere il suo entusiasmo. «Scordatelo», gli disse con voce fredda, «non funzionerà mai». Lo scrittore ammise che forse era necessario perfezionare alcuni particolari, come quello di convincere gli agricoltori dell’Illinois a cedergli tutti quei campi, per non parlare poi di trovare il modo giusto per ripiegarli e sistemarli in una grossa valigia. «Ma questi», ribatté lo scrittore alla moglie, «sono dettagli trascurabili». «Non si tratta di questo, sciocco», gli disse la moglie, «anche se riuscissi a comprimere tutta la terra del mondo in quella vecchia valigia sgangherata, non riuscirai mai a portare la pace in questa regione. Da una parte, i fanatici ultra-ortodossi direbbero che Dio ha promesso solo a loro tutti quei campi di mais, e dall’altra, i messianici razzisti sarebbero pronti a sostenere che quei campi gli sono stati assegnati in eredità sin dall’alba dei tempi. La realtà è, caro marito mio», continuò la donna, stringendosi nelle spalle, «che siamo nati in un luogo dove, anche se tanti vorrebbero vivere assieme in pace, ci sono ancora parecchie persone, da un lato e dall’altro, che si oppongono, e faranno di tutto perché questo non succeda mai».
La mattina seguente, lo scrittore sorseggiò in silenzio il suo schifoso caffè americano, senza nemmeno dire buongiorno alla moglie (era ancora offeso per quello «sciocco» del giorno prima) e dopo aver accompagnato i bambini a scuola, si sedette al computer per scrivere un racconto. Aveva in mente di scrivere qualcosa di triste e commovente su un brav’uomo, contro il quale la vita e la moglie si accanivano senza un motivo preciso. Ma mentre dipanava la sua storia, si imbatté in un’idea brillante, cento volte migliore della precedente, su come risolvere i guai del Medio Oriente. Se il problema stava non nel territorio, bensì nella gente, bastava modificare la “soluzione dei due Stati” in una “soluzione dei tre Stati”, in modo che i palestinesi sarebbero vissuti nel primo, gli israeliani nel secondo, mentre i fondamentalisti religiosi, i razzisti e tutti coloro che volevano la guerra avrebbero occupato il terzo. La moglie si mostrò meno sprezzante verso questo piano rispetto all’idea di ripiegare i campi di mais, per non parlare poi di Barack Obama, che lo scrittore aveva casualmente incontrato in un locale vicino a una stazione di rifornimento, alla periferia di Urbana, nell’Illinois, e che si era dichiarato decisamente a favore.
In meno di un decennio furono creati tre Stati, uno accanto all’altro, in quell’angolino del Medio Oriente: lo Stato di Israele, lo Stato della Palestina e la Repubblica de La-forza-è-la-sola-lingua-che-capiscono, un posto dove la guerra civile infuriava senza sosta, frequentato solo dai trafficanti d’armi e dai giornalisti. Lo scrittore, uomo assai modesto, rifiutò educatamente il Premio Nobel che gli veniva offerto, fece la valigia e se ne tornò con la famiglia nella sua vecchia casa in Israele. E ogni volta che Barack Obama sbarcava in Medio Oriente, nell’ennesimo tentativo di riportare la pace nella Repubblica de La-forza-è-la-sola-lingua-che-capiscono, si fermava a far visita allo scrittore che era riuscito, da solo, a restituire la pace al suo popolo. Poi andavano insieme sul balcone dello scrittore, che si affacciava su una vallata coltivata a terrazze, e tutti e due si gustavano in silenzio un bel piatto di pannocchie.