Tra il giornalismo italiano e internet corrono ancora sguardi sospettosi, e la paura del primo di essere soppiantato o troppo influenzato dal secondo sta portando a risultati paradossali, che mettono l’Italia in una posizione di grande arretratezza rispetto ad altri Paesi. Di sicuro c’è un problema generazionale: le politiche redazionali sono spesso determinate da direttori che fanno parte della “vecchia guardia” della professione. La stessa che ha creato un linguaggio mediatico dove regnano le dichiarazioni, le smentite, lo storytelling a ogni costo, le emergenze continue, i virgolettati “manomessi”, le omissioni calcolate.

Tutto il peggio che il giornalismo nel suo complesso è stato in grado di produrre negli anni è stato riversato sul web, con l’aggiunta di qualche banner pubblicitario o brevi spot prima dei video. Per anni, poi, si è andati avanti dicendo che internet è il mondo dell’immediatezza, dove gli articoli non possono superare una certa lunghezza, addirittura la home page di un sito deve stare tutta in una schermata, senza scrolling. Tutto perché si partiva da una convinzione inamovibile: l’approfondimento spetta alla carta. Poi sono arrivati gli smartphone, i tablet e si sono diffusi sempre i computer portatili, e allora le cose sono cambiate. Ora le persone hanno sempre più familiarità con la lettura su schermo, davanti al quale passano sempre più tempo e si stanno abituando a leggere lì le informazioni che cercano, dopo averle cercate su motori di ricerca o trovate su aggregatori di contenuti e social network. La nostra stampa sembra non essersi accorta di nulla, e continua a privilegiare i titoloni a effetto pur di raggranellare qualche clic.

Perché non puntare sulla qualità? Manca il coraggio forse. La cosa risulta quasi offensiva per il lettore, che si ritrova a esplorare il sito del suo giornale di riferimento dovendosi districare tra video di gattini estratti da tubature e le ultime sparate di questo o quel politico. Non va poi dimenticata la peculiarità, tutta italiana, per cui praticamente tutte le testate storiche fanno parte di gruppi industriali che come attività principale non hanno l’informazione. La maggior parte dei giornali italiani vive in costante perdita, e la sua sopravvivenza è assicurata dagli introiti dei proprietari da altri settori della propria organizzazione. Il fatto di non essere cresciuto come attività che dovesse stare in piedi solo grazie ai propri sforzi, ha creato un campo giornalistico “autistico”, per così dire, più preoccupato di dire ciò che vuole dire, piuttosto che capire quali sono le reali esigenze informative del Paese e creare nuove strategie per stabilire un rapporto di fiducia e fidelizzazione con i propri lettori.

Guarda caso, come nota Andrea Daniele Signorelli su GliStatiGenerali, gli unici casi in cui si prova a fare qualcosa di diverso sono quelli di testate nate sul web, prive di un passato nelle edicole. Lì si ha tutto da guadagnare nell’avere un approccio nuovo alle notizie, e nel provare ad approfondire per creare due flussi di informazioni: quelle volatili, che hanno senso e rilevanza solo qui e ora, e quelle durature, che invece hanno vita più lunga e, grazie alla permanenza delle informazioni su internet teoricamente illimitata, servono all’utente per capire i termini e il background della notizia che sta leggendo. Per fare un esempio, in questi giorni decine di articoli hanno fatto riferimento all’accordo di Dublino o all’area Schengen, ma quanti si sono preoccupati di scrivere un articolo per spiegare di che si tratta? D’accordo, c’è Wikipedia sempre pronta a dare le risposte, ma una delle abilità del giornalista è il riassunto (tra l’altro è una prova d’esame per accedere all’albo dei professionisti, non sarà un caso), che in certi casi è molto più efficace dell’essere esaurienti, come un’enciclopedia per definizione deve essere. Concludiamo con una preoccupazione, forse eccessivamente apocalittica, espressa dal giornalista e blogger che si cela dietro il nickname Quit the doner: «Lasciare un intero paese nelle mani di una classe mediatica, politica ed economica incapace anche solo di concepire il cambiamento significa, in questo momento storico, consegnarsi ad un declino inesorabile che assumerà presto le sembianze di un tracollo vertiginoso e inarrestabile: economico, sociale e politico».

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