Secondo un rapporto diffuso il 29 giugno da Fao, Ocse e Onu, per evitare una crisi alimentare globale è fondamentale orientare in questo senso la spesa pubblica e attrarre investimenti privati per migliorare le tecnologie impiegate e coinvolgere nuove risorse umane al fine di aumentare la produttività.

«I prezzi dei prodotti agricoli sono stati spinti al rialzo da una serie di fattori – si legge in una nota delle due organizzazioni riportata da Redattore Sociale –, tra cui la ripresa della domanda in seguito allo scoppio della pandemia di COVID-19 e le conseguenti interruzioni dell’offerta e degli scambi, il maltempo nei principali fornitori e l’aumento dei costi di produzione e trasporto, che sono state ulteriormente esacerbate di recente dalle incertezze relative alle esportazioni agricole dall’Ucraina e dalla Russia, entrambi fornitori chiave di cereali. Il ruolo della Russia nei mercati dei fertilizzanti ha anche aggravato le preoccupazioni già esistenti sui prezzi dei fertilizzanti e sulla produttività a breve termine».

Si confermano quindi le analisi fatte fin qui dai principali osservatori rispetto ai grandi cambiamenti in corso nel settore alimentare e sulla crisi portata non solo dalla guerra in Ucraina ma anche da altri fattori che la precedono. Rispetto all’analisi sull’influenza che l’invasione russa dell’Ucraina potrebbe avere a breve termine, Redattore sociale sintetizza così: «I prezzi di equilibrio del grano potrebbero essere del 19% al di sopra dei livelli prebellici se l’Ucraina perdesse completamente la sua capacità di esportare e del 34% se in aggiunta le esportazioni russe raggiungessero il 50% degli importi normali».

Al di là dell’aumento dei prezzi, se continuerà la carenza di esportazioni da Russia e Ucraina, nei prossimi mesi potrebbe registrarsi un aumento delle persone afflitte da malnutrizione e denutrizione, invertendo la tendenza degli ultimi anni.

«L’aumento dei prezzi di cibo, fertilizzanti, mangimi e combustibili, così come l’inasprimento delle condizioni finanziarie, stanno diffondendo sofferenze umane in tutto il mondo – ha detto il direttore generale della Fao, QU Dongyu –. Si stima che 19 milioni di persone in più potrebbero affrontare la denutrizione cronica a livello globale nel 2023, se la riduzione della produzione alimentare globale e dell’offerta alimentare dai principali paesi esportatori, tra cui Russia e Ucraina, si tradurrà in una minore disponibilità di cibo che colpisce in tutto il mondo».

È possibile che questo insieme di fattori metta a rischio l’Obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Onu di «mettere fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile» entro il 2030. «La maggior parte della domanda aggiuntiva di cibo continuerà a provenire dai paesi a basso e medio reddito, mentre nei paesi ad alto reddito la domanda sarà limitata dalla lenta crescita della popolazione e dalla saturazione del consumo pro capite di diversi gruppi di prodotti alimentari. Le diete nei paesi a basso reddito, tuttavia, rimarranno probabilmente in gran parte basate sui prodotti di base e il consumo di cibo non aumenterà a sufficienza per raggiungere l’obiettivo Fame Zero».

Come dicevamo in apertura, si renderanno necessari «maggiori investimenti volti a migliorare la produttività in tecnologia, infrastrutture e formazione […]. Tuttavia, un aumento prolungato dei prezzi dei fattori di produzione dell’energia e dell’agricoltura, come i fertilizzanti, aumenterà i costi di produzione e potrebbe limitare la produttività e la crescita della produzione nei prossimi anni».

Nonostante il forte impatto della produzione agricola sull’emergenza climatica, il rapporto ritiene che gli investimenti tecnologici e i miglioramenti della produttività conterranno il suo contributo all’aumento delle temperature: «Si prevede che le emissioni dirette di gas serra (GHG) dall’agricoltura aumenteranno del 6% nel prossimo decennio, con il bestiame che rappresenterà il 90% di questo aumento. Tuttavia, si prevede che le emissioni agricole aumenteranno a un tasso inferiore alla produzione, grazie al miglioramento della resa e alla riduzione della quota di produzione di ruminanti, indicando un calo dell’intensità di carbonio dell’agricoltura. Saranno necessari maggiori sforzi affinché il settore agricolo contribuisca efficacemente alla riduzione globale delle emissioni di gas a effetto serra, come stabilito nell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, compresa l’adozione su larga scala di processi e tecnologie di produzione climaticamente intelligenti, in particolare nel settore zootecnico».

(Foto di Darla Hueske su Unsplash)

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