Quando si parla di trasparenza e corruzione, in Italia, si è sempre colti da una sensazione di imbarazzo, soprattutto se ci sono stranieri presenti. Anno dopo anno, e il 2015 non fa eccezione, la classifica di Transparency International ci condanna agli ultimi posti della classifica europea (il penultimo negli ultimi due anni) e ci accomuna a Stati come Senegal e Sud Africa a livello mondiale. Pur trattandosi di un indice basato sulla corruzione percepita (quella reale è praticamente impossibile da misurare), il dato ha una sua rilevanza, dato che comunque è basato sul parere di chi opera a livello economico e finanziario: «L’indice di percezione – spiega il Corriere – è calcolato sulla base dei pareri raccolti ed elaborati (a livello internazionale) attraverso una media delle indicazioni fornite da 11 diverse istituzioni che “catturano” ciò che uomini d’affari ed esperti nazionali pensano, in base alla loro esperienza diretta, rispetto all’incidenza del malaffare nell’economia e nella gestione della cosa pubblica nei rispettivi Paesi».
L’indice italiano è lo stesso del 2014, le posizioni guadagnate a livello mondiale sono dunque imputabili a demeriti altrui, mentre in Europa non ci siamo mossi di un passo. Ci sembra di poter affermare che che quello della corruzione è un ambito che si collega in generale al senso di opacità o trasparenza che si registra in ogni Paese. Dove il rapporto tra Stato e cittadino è trasparente, anche i livelli di corruzione, evasione fiscale e reati tributari in genere sono di solito più bassi.
Un miglioramento in questo senso si ottiene probabilmente in due modi: da un lato aumentando la facilità di accesso ai dati della pubblica amministrazione (trasparenza), dall’altro introducendo un sistema che ponga degli incentivi a una condotta fiscale corretta e ponga dei deterrenti credibili all’evasione. Purtroppo, l’Italia zoppica in entrambi questi aspetti. Soffermiamoci sul primo: il governo ha spesso dichiarato di voler introdurre il cosiddetto “Foia italiano”, ossia una norma ricalcata sui contorni del Freedom of information Act statunitense. Al momento, infatti, per accedere ai dati alla pubblica amministrazione è necessario che vi sia un «interesse diretto, concreto e attuale» da parte del richiedente.
Nei giorni scorsi, scrive Valigia Blu, è stato annunciato un decreto legislativo per fare in modo che i cittadini possano «chiedere di conoscere dati e documenti alla Pubblica amministrazione». Si dà anche un termine temporale alla Pa per rispondere: «L’accesso ai dati è gratuito e la richiesta andrà soddisfatta entro trenta giorni». Tutto semplice e accattivante, come ci ha abituato l’esecutivo in carica. Il sito Valigia Blu (ci fidiamo in quanto di solito piuttosto preciso nel verificare le fonti) ha pubblicato però la bozza su cui il governo sta lavorando. Uno dei punti critici è che non prevede alcuna sanzione in caso di inadempienze da parte della Pa. Al contrario, l’eventuale silenzio delle istituzioni equivale a un rifiuto: «“Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”. A quel punto al cittadino non resta che fare ricorso al Tar, con tutto ciò che comporta in termini di costi e tempi per l’esercizio del proprio diritto di accesso». Inoltre c’è una serie di eccezioni che di fatto fanno dubitare che le richieste possano avere facilmente successo. Secondo l’articolo 6 della bozza, l’accesso deve avvenire «nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti».
C’è poco da sperare, insomma, sul fatto che stia per arrivare il tanto atteso e richiesto Foia italiano. Se non bastassero i cittadini e tutte le associazioni che da anni si impegnano per ottenere il diritto all’accesso ai dati, anche uno come Tim Berners-Lee, l’inventore del world wide web, intervistato da Repubblica incalza il nostro Paese a muoversi: «Gli Stati Uniti hanno un Foia molto efficace, il Regno Unito lo sta indebolendo. Dovete fare un Foia vero, con poche scuse per negare i dati ai cittadini». Bisognerebbe dargli ascolto, dato che è grazie a persone come lui se oggi potete accedere a questo blog e a qualsiasi sito internet esistente senza sottoscrivere costosi abbonamenti per sotto-reti gestite da privati (un po’ come dire che senza di lui le “autostrade del web” avrebbero avuto i caselli).