Nelle scorse settimane si è parlato molto delle proteste studentesche che si sono svolte in diverse università degli Stati Uniti, a favore della popolazione palestinese e contro la politica aggressiva di Israele, che nel perseguire il proprio obiettivo di “distruggere Hamas” sta causando decine di migliaia di vittime civili nella striscia di Gaza. A far discutere sono state soprattutto le modalità piuttosto brutali con cui la polizia ha represso tali proteste.
Da qualche tempo proteste simili si iniziano a vedere anche in Europa, seppure con sfumature e istanze diverse. Le manifestazioni sono piuttosto evidenti in Germania, ma si registrano azioni in tal senso anche in Finlandia, Danimarca, Italia, Spagna, Francia e Gran Bretagna. Gli studenti, supportati in molti casi anche da docenti, chiedono l’interruzione dei rapporti dei propri istituti con le università israeliane, e in generale puntano a portare l’attenzione su ciò che sta accadendo a Gaza.
Anche in Europa l’approccio verso tali manifestazioni – salvo eccezioni – è piuttosto incentrato sulla repressione e lo sgombero, piuttosto che sul dialogo.
Il caso più controverso è quello tedesco. Se infatti alcune proteste si sono svolte pacificamente, riporta Al Jazeera, altre sono state disperse dalla polizia, scatenando un dibattito pubblico sul fatto che gli studenti abbiano superato i limiti della libertà di parola e di protesta, o che le autorità abbiano violato quegli stessi diritti per reprimere l’attivismo contro la guerra.
Giorni fa gli studenti hanno occupato il dipartimento di scienze sociali dell’Università Humboldt di Berlino. Hanno srotolato uno striscione che designava l’edificio come “Istituto Jabalia”, il nome di un campo profughi di Gaza, e hanno rinominato la biblioteca in onore di Refaat Alareer, un poeta palestinese ucciso da un attacco aereo israeliano a dicembre.
All’interno, gli studenti hanno barricato l’ingresso principale e hanno dipinto le pareti con slogan come “Uccidere civili non è autodifesa” e “La resistenza è legittima”.
L’amministrazione dell’università ha permesso agli occupanti di rimanere fino alla sera successiva e ha avviato trattative con gli organizzatori nell’edificio. Scaduto questo termine, si è scelto di porre fine alle discussioni e di ordinare lo sgombero da parte della polizia.
Gli agenti hanno quindi sgomberato più di 150 persone e ne hanno accusate 25 di aver commesso atti criminali. Una studentessa occupante ha raccontato ad Al Jazeera di essere stata colpita ripetutamente alla testa e presa a calci dalla polizia, finendo in ospedale con una commozione cerebrale. Un video-giornalista della Berliner Zeitung che stava seguendo l’operazione è stato picchiato da un agente, nonostante si fosse identificato come giornalista, e ha dichiarato che gli è stato negato l’accesso alle cure mediche per diverse ore.
La tensione è alta anche nei Paesi Bassi dove, riporta Associated Press, la polizia ha interrotto una protesta pro-palestinese all’Università di Amsterdam, picchiando alcuni dei manifestanti e smontando le loro tende. La polizia ha usato una scavatrice meccanica per spingere le barricate e gli agenti con manganelli e scudi sono entrati in azione. In una dichiarazione, l’Università di Amsterdam ha affermato che: “Condividiamo la rabbia e lo sconcerto per la guerra e capiamo che ci siano proteste al riguardo. Sottolineiamo che all’interno dell’università il dialogo su questo tema è l’unica risposta”.
Un approccio più dialogante è quello che si sta vedendo invece nel Regno Unito. Negli ultimi giorni, spiega il New York Times, accampamenti pro-palestinesi si sono diffusi in 15 università britanniche, ma non ci sono stati ancora segni di scontri violenti
Ciò è dovuto in parte al fatto che le autorità universitarie stanno adottando un approccio più permissivo, citando l’importanza di proteggere la libertà di parola, anche se il governo non è entusiasta delle proteste. Questo potrebbe anche riflettere un dibattito meno polarizzato in Gran Bretagna, dove i sondaggi indicano che la maggioranza delle persone ritiene che Israele debba dichiarare un cessate il fuoco.
(Foto di Dmitrii Eliuseev su Unsplash)
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