Da un po’ di tempo in Italia si parla molto di Iran, a causa della recente visita del suo presidente in Italia. Mercoledì sera, durante il talent show The voice, in onda su Rai2 (qui il video della puntata), a parlarne è stata una concorrente, Kimia Ghorbani, che in Iran è nata 31 anni fa, per fuggirne nel 2012, quando si è stabilita a Bologna. Per pochi minuti il palcoscenico degli studi Rai, dove abitualmente si scontrano le speranze di successo di giovani sconosciuti desiderosi di sviluppare i propri talenti, si è fatto strumento di un messaggio politico molto forte.

In Iran infatti, tra i tanti divieti e contraddizioni di un regime semi-dittatoriale, c’è quello per le donne di cantare. Kimia non ha mai accettato questo stupido divieto, e per anni è scesa in strada a far sentire la propria bellissima voce (prima donna a farlo dopo la rivoluzione del 1979), sfidando le autorità e affrontando le conseguenze del suo gesto: la prigionia, i maltrattamenti. «Mi hanno picchiata – ha raccontato Kimia al Corriere della Sera –, mi hanno preso a calci e insultata, hanno sequestrato il mio strumento, mi hanno portato via i soldi che avevo raccolto. Ho avuto paura, però piano piano l’ho persa. Sono stata molto forte, ho pensato che dovevo farlo: mi dicevo, non succede niente, se anche muoio… Dovevo farlo, una deve per cominciare, dare l’esempio. Dopo due anni però ho dovuto rinunciare, ho capito che da sola non potevo fare niente, le altre donne non mi hanno seguito perché avevano paura. Ogni volta che ci ripenso mi sento triste».

Così il suo gesto è rimasto isolato, una sfida a viso aperto alle autorità, che non ha però trovato l’appoggio di altre donne, tanta è la paura delle conseguenze. I fatti del 2009/2010 hanno mostrato agli iraniani quale sia la capacità di repressione dello Stato. Le proteste nate nella capitale persiana a seguito delle irregolarità che hanno permesso la rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad sono state represse da un’organizzazione paramilitare, e hanno portato alla morte di decine di persone e all’arresto di migliaia. Kimia era lì, indossando il colore verde che ha caratterizzato quella rivoluzione mancata. Assieme a lei tanti amici, alcuni dei quali non avrebbe mai più rivisto. Lo stesso colore, il verde, era quello del velo che le copriva i capelli durante l’esibizione a The Voice. Poi, quando ha finito di cantare, se l’è sfilato, per lanciare il suo messaggio di libertà. «Questo verde è vivo, è come un albero che fiorisce in primavera quando spuntano le foglie», si legge nella sua intervista al Corriere.

C’è da dire che, com’era facile aspettarsi, un talent show non è il luogo ideale per affrontare una questione così complessa come la libertà delle donne in Iran. Probabilmente Raffaella Carrà si confondeva con l’Arabia Saudita quando ha detto che le donne iraniane non possono studiare né guidare un’automobile. Seppure con delle restrizioni (alcune università vietano l’accesso alle donne a determinati indirizzi di studio) le donne hanno diritto a un’istruzione e il livello di scolarizzazione è in aumento dagli anni ’90. Per quanto riguarda la guida, questa è consentita, anche se a novembre 2015 è entrata in vigore una legge secondo cui, se una donna viene sorpresa a guidare a capo scoperto, può esserle sequestrata l’auto per una settimana.

La questione del velo è esplicativa del livello di contraddittorietà del Paese. Oggi tutti pensiamo che esso sia “da sempre” obbligatorio, eppure nel 1936 fu addirittura vietato, in quanto prima del 1979 i religiosi avevano un potere molto ridotto sul piano politico. Oggi invece è obbligatorio (anche per le donne straniere o non musulmane), anche se le donne di Teheran hanno imparato ad aggirare l’imposizione indossando veli che coprono il minimo indispensabile i capelli o la coda, quel tanto che basta per non avere problemi con la polizia.

Le difficoltà quindi persistono, in un contesto schizofrenico diviso tra un atteggiamento riformista da parte della politica (l’attuale presidente Hassan Rouhani, pur essendo un religioso, è più moderato del laico Ahmadinejad), che però non sembra interessata ad affrontare i grandi temi, come limitare il potere della Guida suprema e dei Guardiani della rivoluzione (i pasdaran). Questi ultimi, tra le altre cose, stabiliscono anche chi può entrare nelle liste elettorali per candidarsi, stralciando i nomi dei candidati riformisti. Questo di fatto impedisce all’Iran di sperare in una svolta democratica a breve termine. Speriamo che il messaggio di Kimia possa in qualche modo contribuire a sensibilizzare i governi del mondo, che da qualche tempo, con l’Iran, hanno ripreso a fare affari.