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«Inglesi, professori che non imparano altra lingua. Inglesi, non dovranno mai cambiare moneta. Inglesi, guideranno sempre dal lato sbagliato, per questo chi va a Londra so che torna un po’ cambiato». Una vecchia canzone di Caparezza ci introduce a parlare di una delle mete sempre più frequenti di chi decide di lasciare l’Italia in cerca di fortuna: l’Inghilterra. Tra “cervelli in fuga” e altri che, più che alle possibilità dell’intelletto, sono preoccupati per la sopravvivenza del corpo, il Regno Unito è arrivato ad avere seicentomila presenze stabili di italiani, di cui circa la metà risiedono nella capitale, l’altra metà nel resto del Paese. I dati sono citati in un lungo articolo per Internazionale dello scrittore Marco Mancassola, che da cittadino italiano residente a Londra osserva come la terra delle opportunità stia iniziando a mal digerire la sempre più cospicua presenza di “europei del Sud” sul suo territorio.

«Gli ultimi dati dell’Office for national statistics davano 44mila arrivi italiani nell’anno passato, con un aumento del 66 per cento rispetto al precedente: superiore a quello degli arrivi dagli altri paesi sudeuropei in crisi. Secondo l’aggregatore di annunci di lavoro reed.co.uk i candidati italiani a Londra sono aumentati del 300 per cento in quattro anni. Dati dell’ambasciata italiana dicono che il 60 per cento dei nuovi arrivi ha meno di trentacinque anni, il 25 per cento fra i trentacinque e i quarantaquattro». La percezione che quello degli immigrati sia soprattutto un problema inizia quindi a farsi strada anche nel Regno Unito (e l’ascesa di un partito xenofobo come l’Ukip lo conferma). Proprio sulla percezione giocano i movimenti populisti per giustificare il proprio approccio aggressivo nei confronti dell’immigrazione, puntando, come sottolinea anche Mancassola, a ridurre a questioni semplici («Mandiamoli via!») problemi molto più complessi.

Uno studio pubblicato un paio di mesi fa si occupava proprio a sondare lo scarto tra fenomeni reali e fenomeni percepiti nella popolazione europea, Paese per Paese. Tra i vari temi analizzati c’era anche l’immigrazione. Ai partecipanti al sondaggio si è chiesto di rispondere a questa domanda: «In percentuale, quanti sono secondo te gli immigrati nel tuo paese?». L’Italia è stato il Paese con lo scarto maggiore. In media, gli intervistati hanno risposto che gli stranieri residenti in Italia ammontano al 30 per cento della popolazione. Sono in realtà il 7 per cento, ben 23 punti percentuali in meno di quanto percepito. In Gran Bretagna i risultati sono stati molto meno distanti tra loro, ma comunque restano 11 punti di scarto tra il dato reale (13 per cento della popolazione) e quello percepito (24 per cento). Il problema è che poi queste preoccupazioni danno luogo a leggi reali, non necessariamente messe in atto dai partiti xenofobi (che per fortuna non hanno posizioni di maggioranza né in Italia né in Inghilterra), ma da quelli al governo, spinti dal “mal di pancia” creato e istituzionalizzato dai primi.

«Il premier ha annunciato un piano per escludere i lavoratori europei dal sistema dei benefit, i sussidi dello stato – racconta Mancassola –. Il piano prevede che i cittadini europei potranno chiedere sussidi solo dopo aver vissuto e lavorato nel paese, ovvero pagato tasse, per quattro anni. Inoltre saranno espulsi se ancora disoccupati dopo sei mesi di permanenza. Voci critiche hanno evidenziato che si tratta di misure demagogiche, visto che il ricorso degli immigrati dall’Unione europea al sistema dei sussidi finora è stato marginale. Boris Johnson, il sindaco di Londra, ha osservato che gli europei vengono a cercare lavoro e non sussidi».

Nessuna sorpresa: questo tipo di provvedimenti non parte mai dai numeri, ma guarda al preteso senso di ingiustizia di aiutare chi non ha (ancora) contribuito. Anche in Italia si fa strada da tempo questo approccio da “pareggio di bilancio” verso l’immigrato, quando si sa benissimo che la bilancia è a favore dello Stato e i contributi versati dagli immigrati sono un cespite importante nel bilancio italiano. Eppure vince sempre il mal di pancia. Lo tengano bene a mente i tanti ragazzi che, ora o nei prossimi anni, puntano all’Inghilterra per trovare le opportunità che qui gli sono negate.