Se non fosse istintivamente chiaro che di fronte all’emergenza umanitaria che sta portando decine di migliaia di richiedenti asilo ai confini dell’Europa occorre una politica comune di accoglienza, proviamo a spiegarlo con elementi più pragmatici. Sergio Briguglio, su Lavoce.info, parla chiaramente di “vantaggi” per l’Europa derivanti dall’ingresso di migranti, che siano in fuga dalla guerra o per motivi economici (una distinzione che sta gettando le basi per una pericolosa discriminazione). L’Unione europea sta discutendo con i suoi abituali tempi lunghi sul da farsi, e di fronte a 600-700mila migranti arrivati finora è arrivata a decidere la redistribuzione di appena 120mila persone. Tanto che Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, è arrivato a definire “ridicola” la posizione dell’Ue.

Il freno a un intervento più deciso di redistribuzione è dovuto alla poca disponibilità di molti Paesi a farsi carico del problema, lasciando così quelli più colpiti dal fenomeno (a causa della loro posizione geografica) a gestire un numero di persone al quale non sono pronti a dare assistenza. La proposta della Commissione era invece che ogni Paese (non solo alcuni), in base alle proprie possibilità, si rendesse disponibile, con conseguente sgravio per le terre “di confine”. Una strategia del genere permetterebbe di superare la retorica dell’“invasione”, spesso utilizzata per creare la percezione di un’emergenza. «Qualora invece si arrivi ad approvare la soluzione proposta dalla Commissione (con una vera ripartizione degli oneri) e il flusso conservi i ritmi attuali – spiega Briguglio –, è possibile che, nel volgere di un paio d’anni, si possa vedere una una revisione della normativa Ue, col mantenimento di un diritto d’asilo esigibile senza limiti numerici per i soli soggetti personalmente perseguitati (i rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951). Per quanti fuggano da una guerra, oggi titolari di un pieno diritto alla protezione sussidiaria non appena abbiano messo piede nel territorio della Ue, resterebbe lo strumento della protezione temporanea, concessa entro limiti fissati volta per volta. Questa soluzione avrebbe il vantaggio di rendere prevedibile lo sforzo richiesto, togliendo argomenti a coloro che paventano invasioni incontrollate».

Già, ma quanto verrebbe a costare questo sforzo? Dipende da quanto si saprà dosare l’approccio assistenziale. Dando a tutti i rifugiati pari opportunità nella ricerca di lavoro, lo Stato potrà spendere meno soldi per mantenere i rifugiati, che sono i primi a cercare l’accesso a condizioni di vita dignitose attraverso la propria indipendenza economica: «Ma è credibile che la generosità si traduca in un successo per lo stato che la pratica? Se guardiamo alla straordinaria capacità, dimostrata da moltissimi profughi, di affrontare fatiche e pericoli, questo è possibile: si tratta di favorire l’inserimento sociale e lavorativo di una popolazione giovane e fortemente motivata. E un’economia vecchia e spenta come quella europea non potrebbe che giovarsi di questa iniezione di motivazione».

Non dimentichiamoci che chi lavora paga le tasse, e dato il progressivo invecchiamento della popolazione italiana è fondamentale che ci siano nuovi contribuenti a garantire il pagamento delle pensioni. Peraltro una certa percentuale di immigrati tra qualche anno deciderà probabilmente, qualora possa farlo, di tornare nel proprio Paese (o comunque di emigrare), perdendo completamente i contributi versati, a tutto vantaggio degli italiani (l’avevamo detto che avremmo portato argomentazioni molto pragmatiche).

Per chi non fosse ancora convinto, il sito ValigiaBlu ha pubblicato un interessante vademecum in 14 punti, in cui smonta altrettanti commenti “cattivisti” spesso usati come contro argomentazioni per difendere posizioni xenofobe. Per esempio, sulla questione “emergenza” si riporta che «Mario Morcone, capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno, intervistato da Redattore sociale, ha spiegato che, proprio basandosi su questi numeri, parlare di emergenza o invasione è sbagliato, aggiungendo inoltre: “Per quanto riguarda gli arrivi i numeri sono esattamente gli stessi dell’anno scorso, ci saranno mille, duemila persone in più, quindi probabilmente arriveremo a fine anno con un bilancio di circa 180mila, 170mila persone sbarcate, in linea […] con la pianificazione che come ministero avevamo già fatto”».

Ultimamente hanno fatto discutere alcune foto di migranti alle prese con i propri smartphone. «Allora non sono poveri», è stato il commento di molti. Per fuggire da una guerra non c’è bisogno di essere poveri. Le guerre colpiscono chiunque, anche le persone per bene con un lavoro e una famiglia. Scoppia il conflitto e da un giorno all’altro si ritrovano a essere “richiedenti asilo”. Perché non dovrebbero portare con sé uno strumento fondamentale per restare in contatto con i propri cari e al contempo tenersi informati sull’evolvere del conflitto? «La richiesta di una connessione wifi non è un capriccio di un rifugiato viziato. È la via per comunicazioni più lunghe e meno costose con i familiari che sono lontani, come testimoniato dal progetto “Welcome Taranto”, realtà impegnata in Puglia nell’assistenza agli immigrati e che, dotandosi di una rete wifi, ha consentito ai migranti di potersi connettere con i loro parenti: “Ci è bastato chiedere: ‘di cosa avete bisogno?’ – racconta su Chefuturo! uno degli ideatori dell’iniziativa – per capire che l’accoglienza non è solo un pasto caldo. Abbiamo fatto un’assemblea con i migranti e tra le varie esigenze, quella più concreta emersa con forza era proprio la possibilità di collegarsi a internet”».

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