Il video trasmesso il 16 dicembre durante l’edizione delle 20,30 del Tg2 ha mostrato un aspetto dell’Italia che ci rattrista e ci fa indignare. Si tratta di una sequenza di pochi minuti che mostra come in un centro di prima accoglienza di Lampedusa gli immigrati (di fatto detenuti) siano fatti mettere in fila, spogliati e poi lavati con un getto d’acqua per un trattamento contro la scabbia. Le modalità sono semplicemente aberranti, gli spazi in cui avviene tale procedura somigliano a un angolo di un qualsiasi cantiere (il centro è stato parzialmente danneggiato da un incendio nel 2011, quindi in effetti è così). Al netto di chi, esagerando, ha parlato di metodi degni dei campi di concentramento nazisti (come il sindaco dell’isola Giusi Nicolini) o chi ha sottolineato le gelide temperature invernali (a Lampedusa di questi tempi la temperatura non scende così in basso e comunque nel video si vedono operatori lavorare in maniche corte), resta il fatto che, semplicemente, noi rifiutiamo di vivere in un Paese in cui le persone sono trattate in questo modo.
Stiamo parlando di persone radunate in un centro di prima accoglienza, verso le quali nessuna sentenza è stata emessa e la cui detenzione prolungata è comunque illegittima: a maggior ragione è ingiustificato un trattamento da carro bestiame come quello mostrato nel video. Secondo il profugo siriano che ha girato e diffuso il video alla stampa, anche per le donne il trattamento è identico. Ci auguriamo non sia vero. Come ha sottolineato il giornalista Gabriele Del Grande a Tutta la città ne parla (Radio3, puntata del 18 dicembre), si tratta di persone trattenute in quanto colpevoli di viaggio. Perché di questo si tratta, di varcare una frontiera ed essere detenuti e maltrattati per questo. «Da 25 anni l’Europa non riesce a immaginare altra soluzione che non siano il pattugliamento delle coste -ha spiegato Del Grande-, i respingimenti, gli accordi bilaterali con gli Stati confinanti. Si inviano fondi ai Paesi limitrofi per finanziare la costruzione di carceri, con un approccio unicamente militare. Si è diffusa l’idea, ormai ce ne hanno convinti, che gli sbarchi siano la causa dell’immigrazione in Italia: Lampedusa è la causa dell’immigrazione, se si controllano gli sbarchi si controlla l’immigrazione. Non è così. Nel 2013 a Lampedusa sono arrivate circa 40mila persone (con un grosso boom negli ultimi mesi a causa del conflitto siriano). L’immigrazione italiana è per la maggior parte perfettamente legale, perché arriva dall’Est Europa, da Paesi in cui vige la libera circolazione delle persone: Romania, Polonia, Albania, presto anche la Turchia».
L’Ue ha fatto un grande passo aprendo la propria frontiera a Est; se avesse il coraggio di farlo anche verso Sud quello degli sbarchi diventerebbe un problema molto più gestibile, perché molte più persone potrebbero fare un biglietto legalmente e venire in Europa, magari senza nemmeno passarci dall’Italia, visto che per molti non siamo noi il Paese di destinazione. Detto questo, resta il fatto che chi sbarca sulle nostre coste deve innanzitutto essere assistito, nel rispetto della dignità dell’essere umano. Oggi ci indigniamo per queste immagini, ma sappiamo bene che ci sono contesti in cui queste pratiche, se non altre anche più dure, sono la quotidianità. Pensiamo alle carceri, sul cui sovraffollamento tanto si è detto ma poco si è fatto. È un po’ triste assistere anche stavolta alla solita “caccia al responsabile”, con conseguente rimozione della dirigenza della cooperativa responsabile del servizio. È un sistema che non funziona e su cui la politica può e deve fare qualcosa. Come sempre c’è poi chi addirittura ci marcia su e sfrutta casi in chiave di consenso elettorale, per non parlare dei tanti utenti che su Facebook postano foto dei loro cagnolini col cappuccio da Babbo Natale, inframezzate da post in cui strillano: «tornate a casa fate schifo zecche puzzolenti!» (i punti esclamativi erano molti di più).