
«Il piccolo Omar, che ha compiuto quattro mesi di vita dentro il centro, è arrivato che ne aveva tre. È arrivato il sei agosto, e oggi è ancora lì, rinchiuso da più di un mese, insieme al fratellino di sedici mesi e alla sorellina di sette anni. I genitori sono sudanesi: scappati dal Darfur, si rifugiano in Ciad; scappati anche dal Ciad, finiscono in Libia. Ma in Libia scoppia la guerra e sono costretti a scappare anche da lì -sono vite così. Approdano in Italia, e la bambina arriva, per quello che ha subìto, tutto sommato sana. Il padre no, perché durante il viaggio viene aggredito dagli scafisti. È ridotto molto male, lo prendono a coltellate, a pugni ecc. E i bambini tra l’altro assistono alla scena. Come se non bastasse, vengono messi nello stesso centro in cui stanno gli scafisti che hanno aggredito il padre, per cui i due fratellini riconoscono gli scafisti e corrono via terrorizzati. Questo è l’ambiente in cui crescono questi bambini. “Crescono”, perché in un mese un bambino cresce. Non è questione di un giorno o due: il mio “record” personale è un minore che è stato 64 giorni chiuso in queste condizioni.
I minori sono protetti e inespellibili per legge. Hanno diritto a essere immediatamente affidati, segnalati a tutta una serie di autorità -dal comitato per i minori stranieri, al giudice tutelare, al sindaco- e collocati in strutture idonee e protette. Quindi non in condizioni di promiscuità con adulti, non messi a dormire per terra su materassini di gommapiuma sporchissimi -io ho preso le pulci nel campo l’altro giorno per parlare con questi bambini-. Un’altra minore, Chideria (la storia è raccontata anche in un reportage su l’Espresso, ndr), è arrivata su un barcone dopo notti e giorni in mare. Sono morte cento persone nel tragitto, quasi tutti minori. Lei è arrivata sana ed è riuscita a contrarre nel centro una bronchite e un’infezione agli occhi, e in più aveva il corpicino devastato dalle punture di insetti. Questo è come noi trattiamo i bambini. In più li mettiamo in un regime che di fatto è detentivo. Li buttiamo in questi “gabbioni”, privandoli della libertà personale, senza un provvedimento amministrativo e senza una convalida giudiziaria. Sono minori, quindi non trattenibili, ma noi facciamo tutto questo, come se fossimo in uno stato di polizia, cioè come se le persone potessero essere rinchiuse senza un provvedimento e una convalida di un giudice».
La riflessione più interessante della Ballerini è sul futuro: vogliamo che questi bambini continuino a patire queste forme di “maltrattamento di Stato” per poi trasformarsi in adulti arrabbiati e frustrati, oppure vogliamo investire su di loro e mettere le basi per il loro avvenire (e quello del Paese)? E a chi ne facesse un problema di costi, la Ballerini risponde che costa di più tenere i minori in queste condizioni che dare loro accoglienza. La domanda vera è un’altra: come vogliamo spendere i nostri soldi?