Elena Favilli, cofondatrice di Timbuktu – il primo magazine per iPad dedicato ai bambini – si esprime sul proprio blog in merito alla questione dei lavori creativi non pagati (del tutto o non abbastanza), di cui abbiamo parlato anche noi in un altro post. Ecco di seguito le sue riflessioni.
Va di moda di questi tempi invitare tutti a fare soltanto quello che piace. Do what you love, love what you do. Soprattutto quando si parla di lavoro, ancora di più se si parla di giovani e lavoro, l’enfasi è sempre sull’amore. Fai quello che ti piace, e sarà tutto a posto. Trova un lavoro che ti piace, e vivrai felice. Scolpito in migliaia di post-it, calamite, adesivi, magliette e tatuaggi, DWYL è a tutti gli effetti il mantra della nostra generazione. Steve Jobs lo disse chiaro nel suo stracitato discorso di Stanford del 2005:
You’ve got to find what you love. And that is as true for your work as it is for your lovers. Your work is going to fill a large part of your life, and the only way to be truly satisfied is to do what you believe is great work. And the only way to do great work is to love what you do.
Non era difficile credergli. Lui, che aveva creato Apple e che più di ogni altro ha incarnato nel nostro presente un’idea irresistibile di lavoro: ispirato, casual, di successo stratosferico. E infatti ci abbiamo creduto tutti. L’altro giorno, per dire, ero in un bellissimo museo di arte contemporanea e in uno dei bagni, sulla parete di fronte al water, c’era uno schermo con il video del discorso di Stanford in loop. Il cartello all’ingresso prometteva i 10 minuti più rivoluzionari che un cesso vi potrà mai dare.
È bello pensare che il lavoro sia qualcosa che non si fa solo per i soldi, e che anzi si fa soprattutto per essere felici. Ma cosa succede quando i soldi escono completamente dall’equazione, e del lavoro si inizia a parlare esclusivamente in funzione del suo valore estetico, narcisistico, individuale? Cosa succede quando del lavoro resta solo l’amore? Due cose. Una, insopportabile, che sarà successa anche a voi un sacco di volte. E un’altra, meno visibile, ma con conseguenze più nefaste.
La prima è che per chi offre un certo tipo di lavori, quelli all’interno di settori esteticamente e socialmente ambiti tipo moda, arte, media e design, diventa molto più facile offrire posizioni sottopagate o del tutto non retribuite in nome dell’amore. Ma come, fai il lavoro che ti piace e ti lamenti se ti chiedo di lavorare gratis a Natale? Ma ti rendi conto di quante persone pagherebbero per essere al tuo posto?
La seconda, più profonda, è che l’enfasi sui lavori creativi, delle élite, portano inevitabilmente in secondo piano tutti quei lavori – la maggioranza – che élite non sono ma che non per questo meritano di uscire dalla riflessione su che cos’è il lavoro e le sue condizioni oggi. Secondo il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, le due professioni per cui ci sarà più domanda nei prossimi vent’anni sono gli assistenti domestici e gli assistenti sanitari a domicilio, professioni che hanno stipendi medi annuali intorno ai 20mila dollari e che difficilmente vengono percepite come cool.
C’è poi una terza conseguenza a pensarci bene, tutta collegata alla moda del momento sulle startup, che della dottrina del Do What You Love sono la quintessenza. Molto spesso i giornali che scrivono di Timbuktu ne parlano come del caso di due ragazze sveglie che si sono inventate il lavoro dei loro sogni e ci chiedono di dare consigli a chi voglia fare la stessa cosa, dando per scontato che l’unica risposta alla mancanza di lavoro sia inventarsene uno.
Ecco, l’unico consiglio sensato che mi sento sempre di dare, è imparare a dire qualche no, a costo di sembrare presuntuosi. Ne guadagnerete in stima, forza e slancio. E avrete molte più probabilità di finire davvero a fare quello che vi piace, con o senza startup.
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