Italia’s got talent, recita il titolo di una popolare trasmissione. Ma una buona parte di questo talent ce lo siamo fatto scappare, ed è finito all’estero. La “fuga dei cervelli” è ormai questione nota, ma uno studio di ITalents ne mette in luce alcuni aspetti inediti. Solo il 12,8 per cento degli intervistati dichiara infatti di escludere completamente il rientro in patria, il 55,4 non l’ha in programma ma non lo esclude, e oltre il 45 per cento degli under 30 ha in mente di farlo.
Ciò che non sorprende è la motivazione che ha spinto la stragrande maggioranza dei “fuggiaschi” a lasciare il suolo patrio, ossia la mancanza di meritocrazia (per oltre l’80 per cento degli intervistati). «Seguono gli strumenti per poter condurre al meglio il proprio lavoro, a disposizione oltre le Alpi. Solo al terzo posto (60 per cento) le remunerazioni più alte all’estero. Poi ancora: la scarsa fiducia nella crescita del Paese, il lavoro più stabile all’estero e il miglior welfare».
La ricerca è stata effettuata anche per monitorare il grado di conoscenza della cosiddetta Legge Controesodo (238/2010) da parte dei diretti interessati, e in effetti quasi la metà (47 per cento) dichiara di conoscerla (e al crescere del titolo di studio aumenta la conoscenza della norma: la percentuale sale al 58,9 tra chi ha un dottorato). «La 238 -spiega Linkiesta.it– è una normativa che prevede incentivi fiscali per coloro che decidono di rientrare in Italia per intraprendere un’attività d’impresa, di lavoro autonomo o per essere assunti come dipendenti. A tutti i laureati under 40, che abbiano lavorato fuori dal Paese per almeno 24 mesi, viene infatti garantito uno sconto sul pagamento dell’irpef: per le donne l’imposta è calcolata sul 20 per cento dello stipendio, mentre per gli uomini sul 30 per cento. La normativa, che in origine doveva riguardare solamente chi era partito entro il 2009, grazie all’emendamento presentato dal decreto Milleproroghe, riguarderà anche coloro che hanno lasciato l’Italia negli ultimi tre anni. Per fare in modo che il rientro dei cervelli non rappresenti semplicemente una “toccata” con ulteriore “fuga”, per godere dei benefici della legge è necessario rimanere in Italia per almeno cinque anni dalla data della prima fruizione degli sgravi fiscali».
E il Parlamento starebbe elaborando ulteriori norme per rendere più attraente il nostro Paese ai nostri stessi concittadini. «La 238 sarebbe solo la prima di un pacchetto di norme che vogliono rendere più attrattivo il nostro Paese -spiega il deputato Guglielmo Vaccaro a Linkiesta.it-. La prima prevede minori imposte sui redditi per quegli stranieri che scelgono l’Italia per compiere i loro studi e poi lavorare; la seconda consiste in un rimborso per coloro che si qualificano all’estero, ma poi tornano qui a produrre ricchezza; la terza garantisce incentivi per chi vuole restare in un paese straniero, ma investire in Italia».
Ci auguriamo, un giorno, di dover aggiornare il lessico. Si potrà parlare allora di “flusso”, e non più di fuga. Non c’è una direzione giusta e una sbagliata, l’importante è che la scelta non sia obbligata. Viaggiare ha sempre arricchito le menti e gli spiriti, e di certo non è verso l’immobilità che deve tendere il Paese. Quindi ben vengano queste norme, però guardiamo avanti provando a creare le basi per partenze più serene, alla base delle quali ci sia non solo la consapevolezza di avere delle agevolazioni al rientro, ma anche quella di trovare ciò che si insegue all’estero: meritocrazia, strumenti, stipendi, welfare, prospettive di crescita. Gli aiuti prima o poi finiscono, e una volta usciti dalla “bolla” protettiva che creano attorno al figliol prodigo di turno, il risveglio potrebbe essere molto brusco. Bisogna creare le condizioni affinché crescere, studiare, lavorare nel nostro Paese, sia semplicemente normale.