acquapassataChi ha passato la trentina, ricorderà forse qualche professore, ai tempi delle scuole superiori, dire frasi tipo «Studiate pure, ma non aspettatevi di trovare lavoro nel settore in cui vi sarete specializzati». Lo stesso monito, riproposto oggi a una classe di studenti bene intenzionati, sarebbe probabilmente ancora più netto: «Lasciate perdere, non iscrivetevi all’università, farete solo più fatica a trovare un lavoro». Premettiamo che non siamo d’accordo né col primo né col secondo avvertimento. Studiare è sempre una buona cosa, e se anche nella vita lavorativa non si avrà la possibilità di spendere tutte le conoscenze acquisite, gli anni di studio sono un’importante passaggio della vita in cui si fanno molte esperienze utili, al di là delle nozioni apprese.

Fatta questa doverosa premessa, vi invitiamo a guardare il cortometraggio “Acqua passata”, di Luca Stringara e Giacomo Benini. L’idea è semplice ed efficace. Il protagonista, un ragazzo in età post universitaria, parla rivolto alla cinepresa di lavoro, studio, ricerca. Mentre si racconta, le immagini lo mostrano indossare una giacca, preparare acqua, sapone e spazzole e inforcare la bicicletta per andare sul suo vero “posto di lavoro”, ossia un semaforo, dove si occupa di lavare i vetri alle auto in sosta. Disarmante nella sua semplicità (ha anche vinto un premio), si tratta di un’opera efficace quanto breve (meno di due minuti). Ed è preoccupante che una storia del genere trovi spazio e riconoscimenti, perché vuol dire che, pur esagerando, ci sta raccontando qualcosa di molto reale.

Riflette lo smarrimento dei giovani, che hanno passato anni a investire nella propria formazione e ora si trovano senza prospettive. Ci ricorda tutte quelle famiglie in cui la forma più solida di sussistenza è la pensione della nonna, con la generazione più giovane che non riesce a entrare nel mondo del lavoro, e quella precedente, tra i giovani e la nonna, che fa fatica a mantenere la posizione acquisita nel corso degli anni, perché il lavoro svanisce, o non è pagato, o lo è troppo poco.

Ma la pensione della nonna non dura in eterno: poi cosa succederà? Questo ci viene da chiedere leggendo i dati dell’ultimo rilevamento Istat sulla povertà in Italia. Tra le righe del comunicato diffuso dall’Istituto c’è la conferma di questa dinamica, presentata quasi come una nota positiva all’interno di dati assoluti che peggiorano praticamente per tutti e in tutte le zone d’Italia: «In termini di povertà relativa si contrappone il miglioramento della condizione dei single non anziani nel Nord (l’incidenza passa dal 2,6 all’1,1 per cento, in particolare se con meno di 35 anni), seppur a seguito del ritorno nella famiglia di origine o della mancata formazione di una nuova famiglia da parte dei giovani in condizioni economiche meno buone». Come a dire che l’unico modo per stare meglio è tornare indietro, da mamma e papà. Col rammarico di non essere riusciti a costruire qualcosa, di non aver raggiunto un’indipendenza economica che non è solo una conquista materiale ma anche un passaggio imprescindibile per poter progettare il proprio futuro. I giovani dovrebbero spazzare via la vecchia generazione e invece sono proprio loro i soggetti deboli della catena, intrappolati in regole che non hanno contribuito a scrivere e schiacciati da una crisi contro la quale nulla possono. Prendiamo atto e andiamo avanti, con un po’ di inquietudine.