Secondo alcune ricerche recenti, le donne artiste nei musei sono ancora poche. Negli Stati Uniti nel 2019, nei 18 musei più grandi in termini di numero di visitatori, l’87% degli artisti esposti nelle collezioni permanenti erano uomini. Allo stesso modo, in Francia, uno studio del 2021 elenca il 93,4% di artisti maschi nei cataloghi dei musei pubblici nazionali.

Si potrebbe replicare che negli ultimi tempi un buon numero di mostre europee è stato dedicato alle donne artiste. C’è però una differenza fondamentale: gli artisti maschi non hanno bisogno di essere associati a una categoria specifica per essere oggetto di mostre tematiche o monografiche. Per secoli hanno avuto quasi tutto lo spazio a disposizione. Per correggere questa disuguaglianza, si sta cercando di mettere in luce le donne creando mostre a loro dedicate. Ma come ha sottolineato un articolo di Le quotidien de l’art nel 2021: “C’è il rischio che questo tipo di iniziativa metta insieme artisti che hanno poco in comune se non il loro genere, riducendoli alla stessa categoria”.

Perché le donne sono così raramente rappresentate nei musei? La difficoltà delle donne artiste a trovare il proprio posto nei cataloghi dei musei d’arte ricorda la difficoltà delle donne a sfondare il soffitto di cristallo nel mondo delle aziende. Ne scrive un articolo su The Conversation, che prova a dare una spiegazione al problema utilizzando questa chiave interpretativa.

Un primo elemento, spiegano le autrici Hager Jemel-Fornetty e Guergana Guintcheva, sembra essere legato agli stereotipi di genere, con la presunzione che le donne non siano adatte a creare arte “ufficiale”. Oggi l’accesso delle donne a posizioni strategiche nelle organizzazioni continua a dipendere fortemente dalla valutazione delle loro controparti maschili. Dagli anni ’70, numerosi studi hanno dimostrato che le caratteristiche “maschili” sono maggiormente associate al tipo di leader ideale. Nonostante l’aumento del numero di donne nelle aziende e nel mondo accademico, questi stereotipi sono relativamente stabili, soprattutto tra gli uomini che percepiscono le donne come inadatte a ricoprire posizioni manageriali strategiche.

La nostra istintiva associazione del genio artistico al genere maschile deriva da una più ampia tendenza a collegare i ruoli di leadership agli uomini – un fenomeno psicologico noto come “Think manager, think man”. Questa assimilazione uomo-leader, uomo-artista alimenta un circolo vizioso che allontana le donne dalle posizioni di potere nelle aziende e dai progetti ambiziosi nel mondo dell’arte.

Al di là del genere dell’arte, dell’opera e del talento, prosegue l’articolo, il riconoscimento e la qualità di un’opera dipendono molto dalle opportunità di incontro con il pubblico e dalle risorse finanziarie e umane a disposizione dell’artista. Una realtà che non è favorevole alle donne a causa del loro accesso limitato alle reti che consentono la condivisione di know-how, mezzi di produzione e strumenti di lavoro.

La disparità di accesso alle reti professionali e alle personalità influenti limita le opportunità di sviluppo, visibilità e riconoscimento delle donne artiste. Le reti sociali maschili, che generano solidarietà attiva, non hanno equivalenti femminili, o ne hanno solo di marginali.

(Foto di iSAW Company su Unsplash)

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