Se pensiamo alle aziende più innovative che si sono affacciate sul mercato negli ultimi anni, probabilmente ci vengono in mente Meta (che controlla Facebook e Instagram), Alphabet (che controlla Google), ma anche Netflix, Spotify, Justeat (e affini).

In tutti i casi si tratta di aziende che hanno avuto un grosso impatto sulle nostre vite. Alphabet, che un tempo si chiamava come il suo motore di ricerca Google, ha rivoluzionato la nostra esperienza sul World Wide Web, rendendo possibile cercare i contenuti su qualunque sito internet. Una cosa che oggi diamo per scontata, ma che solo qualche decennio fa era impensabile.

Facebook ha introdotto un mondo di interagire con le persone che conosciamo, e poi anche quelle che non conosciamo, fino a diventare “lo spazio in cui le cose succedono”. Oggi non è più così, altre piattaforme svolgono forse quella funzione, anche se Facebook resta tra i social network più popolari.

Spotify e Netflix hanno cambiato completamente il nostro modo di fruire di prodotti musicali e audiovisivi, con il loro sistema di abbonamento che dà accesso a cataloghi sterminati. Spotify ha approfittato di un mercato musicale devastato dall’avvento della digitalizzazione, mentre Netflix, con la pandemia, ha conosciuto un aumento di iscritti che non si è mai arrestato.

È stata sempre la pandemia a offrire una grande occasione di sviluppo a Justeat, Glovo e altri operatori della cosiddetta gig economy. Con miliardi di persone chiuse in casa per mesi, poter ordinare del cibo con consegna a domicilio è divenuta un’esperienza quasi quotidiana per molte persone, e ha continuato a esserlo anche con la fine dei lockdown.

In tutti questi casi (e si potrebbero fare altri esempi, su tutti Amazon) si tratta di aziende che hanno portato qualcosa di molto innovativo nel mercato e nelle nostre vite, anche grazie a un alto tasso di innovazione tecnologica. Però si sono portate dietro qualcosa che invece conoscevamo già molto bene, ossia la pratica sistematica dello sfruttamento.

Meta e Alphabet basano il proprio enorme vantaggio competitivo sullo sfruttamento dei dati personali degli utenti. Nonostante gli incidenti, le multe, le misure per contenere il problema, siamo tuttora noi utenti a offrire gratuitamente il bene che poi le due aziende possono monetizzare per vendere pubblicità mirata ai propri clienti. Grande innovazione dunque, ma un modello economico piuttosto tradizionale nei principi.

Spotify basa il proprio successo sul fatto di corrispondere agli artisti una cifra irrisoria per ogni riproduzione, di fatto premiando solo quelli più affermati, che possono contare su decine di milioni di ascolti. È poi notizia di questi giorni che gli attori italiani hanno un contenzioso aperto con Netflix: “In Italia, come negli Stati Uniti e nel resto del mondo, la maggior parte degli attori non è famosa, e lavora con piccole parti in molte produzioni o in spot pubblicitari, video musicali e altre forme di audiovisivo. Una parte sostanziosa del reddito di questi attori non viene dai singoli ingaggi, necessariamente bassi, ma dal diritto d’autore che possono maturare negli anni dai diversi lavori a cui hanno preso parte, specie quando alcuni di questi sono molto replicati in televisione o molto visti in piattaforma. In precedenza l’equo compenso era calcolato in base alle repliche televisive. Ma ora che andrebbe calcolato sapendo quante volte ogni singolo film o ogni puntata di ogni serie è stata vista, e quindi riprodotta singolarmente sulle varie piattaforme in cui può essere disponibile, le cifre percepite dagli attori si sono molto abbassate”.

Infine, sono ben note le paghe molto basse riservate ai rider che consegnano cibo a domicilio, e la ritrosia delle aziende a inquadrarli come dipendenti anche quando le modalità di lavoro sono del tutto affini.

Da qui nascono alcune domande. Ha senso celebrare il successo di aziende che, se dovessero garantire compensi adeguati, probabilmente chiuderebbero in pochi giorni? Che ruolo abbiamo noi utenti che, consci di questo, continuiamo a usare tali servizi? Non sarebbe ora di concentrare gli sforzi di innovazione nel creare modelli economici alternativi, equi e sostenibili?

(Foto di Rock’n Roll Monkey su Unsplash)

Se sei arrivato fin qui

Magari ti interessa iscriverti alla nostra newsletter settimanale. Ricevereai il riepilogo delle cose che pubblichiamo sul blog, e se succede qualcosa di importante che riguarda l’associazione lo saprai prima di tutti.

Un paio di clic e ci sei