Dal 2006 il sistema giuridico italiano prevede, in conformità con la normativa europea, l’istituzione delle centrali uniche di acquisto (Cua) per beni e servizi essenziali per i cittadini. L’idea è che, concentrando gli acquisti di un ampio territorio in un’unica agenzia (a livello regionale nel caso italiano) si possa approfittare di economie di scala che fanno risparmiare risorse alla sanità pubblica. Potendo infatti appoggiarsi a un bacino di mercato più ampio, sarà possibile ottenere prezzi più bassi per l’acquisto di materiali e attrezzature, a tutto vantaggio delle aree in cui altrimenti l’approvvigionamento avverrebbe a prezzi maggiori.

Spending review

È un concetto ben noto a chi si occupa di salute e su ZeroNegativo ce ne siamo occupati fin dagli albori delle nostre pubblicazioni. Era il 2012, anno in cui l’espressione più di moda era spending review, e infatti proprio di quello si trattava. Siamo tornati a parlare del tema in tempi recenti, quando ragionavamo sulla trasparenza e sensatezza di alcune operazioni fatte in estate nell’ambito della gestione commissariale dell’emergenza sanitaria innescata dalla pandemia. Lo facciamo nuovamente oggi perché un’interessante ricerca, spiegata dagli stessi autori su Lavoce.info, offre dei dati che confermano una volta di più la validità di una gestione centralizzata degli acquisti. I ricercatori hanno stimato l’impatto della centralizzazione degli acquisti sanitari «sul livello di spesa delle Asl, focalizzando l’attenzione sulle componenti che si concretizzano in acquisti di beni (per esempio, prodotti farmaceutici e dispositivi medico-diagnostici) e servizi (sanitari e di supporto)». È stato possibile fare un confronto tra sistemi diversi perché l’adozione della normativa europea ha avuto tempi molto diversi a livello nazionale. C’è chi, come Campania ed Emilia-Romagna, si era attrezzato già prima del 2006 e chi, come il Veneto o la Basilicata, si è mosso anni dopo. Lo studio ha confrontato «la variazione di spesa corrente pro capite del gruppo delle Asl che opera in regioni con regime Cua, prima e dopo l’introduzione della centrale di acquisto regionale, con la medesima variazione per il gruppo di Asl che non opera in regioni con Cua nello stesso periodo di tempo. I risultati indicano che la spesa pro capite in beni e servizi delle Asl che operano in regioni in cui è stata introdotta una centrale di acquisto è sempre minore di quella delle Asl che operano in autonomia. Inoltre, la differenza fra le due categorie è crescente nel tempo».

15,4 miliardi risparmiati

In termini assoluti, si parla di un risparmio complessivo di «poco meno di 15,4 miliardi di euro, una cifra equivalente a circa il 20,6 per cento della spesa pubblica sanitaria media in acquisti di beni e servizi e il 13,7 per cento di quella totale media nel periodo considerato». Si tratta di una svolta tutt’altro che simbolica, che ha avuto un impatto enorme sul sistema sanitario nazionale e che per una volta non ha comportato, al verificarsi di un risparmio, un peggioramento del servizio. «Il tasso di mortalità per diverse patologie soggette a ospedalizzazione e le dimissioni da ricovero non hanno subito variazioni significative dall’introduzione delle centrali uniche di acquisto regionali». Occorrerebbe anzi sapere che fine stanno facendo tutte le risorse risparmiate, e se le stiamo reinvestendo nel settore sanitario (magari favorendo le regioni più in difficoltà) e per combattere la corruzione che spesso colpisce i territori più svantaggiati, o se invece sono destinate ad altri capitoli di spesa. Ovviamente bisogna ricordare che si tratta di un dato aggregato, che non considera altri fattori e circostanze che hanno caratterizzato nel tempo i sistemi sanitari regionali, come i piani di rientro. «Tuttavia – puntualizzano gli autori –, è bene chiarire che ci sono Asl appartenenti a regioni soggette al piano di rientro ma con elevati livelli di qualità delle istituzioni (come il Piemonte), così come ce ne sono altre di regioni con bassi livelli di qualità istituzionale ma non soggette al piano di rientro (come la Basilicata) nel periodo di osservazione». Gli studiosi chiudono il loro intervento con una proposta che ci sentiamo di appoggiare in pieno: «Dal nostro lavoro si potrebbero trarre indicazioni utili anche per un’eventuale centralizzazione di alcuni acquisti sanitari di rilievo nazionale, come quelli relativi ai dispositivi anti-Covid: se fatti a livello centralizzato, potrebbero comportare costi inferiori a quelli finora sostenuti dalle singole regioni».

(Foto di Marek Studzinski su Unsplash)

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