Tra il 6 e il 18 novembre i principali leader mondiali si riuniranno a Sharm el Sheikh, in Egitto, per discutere nuovi negoziati sul clima durante la conferenza COP27.
L’evento viene organizzato ogni anno dalle Nazioni Unite ed è stato preceduto lo scorso anno dalla COP26 di Glasgow, in Scozia, dove si è convenuto sulla necessità di incrementare immediatamente gli sforzi per prevenire l’aumento delle temperature a livello globale. Tali propositi non si sono però concretizzati, e i risultati si sono visti nelle alluvioni che hanno colpito il Pakistan, nelle ondate di calore e siccità che hanno colpito l’Europa e il Nord America, ecc.
Queste conferenze, per quanto spesso si concludano in impegni insufficienti (o non rispettati da chi li sottoscrive), sono comunque momenti importanti per valutare in che direzione si sta muovendo la governance mondiale sulla gestione del cambiamento climatico e qual è il livello di coinvolgimento dei diversi paesi, soprattutto quelli più sviluppati. Il Washington Post ha messo insieme una lista di domande e risposte sulle cose principali da sapere sulla COP27. Vediamo di seguito una sintesi.
Che cos’è la COP27?
COP sta per Conference of the Parties (Conferenza delle Parti). Con “parti” ci si riferisce alle 197 nazioni che hanno aderito alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel 1992.
Le parti, tra cui l’Italia, hanno ratificato il trattato per affrontare la “pericolosa interferenza umana sul sistema climatico” e stabilizzare i livelli di emissioni di gas serra nell’atmosfera. L’organismo delle Nazioni Unite sul clima convoca questi governi una volta all’anno per discutere su come affrontare assieme il cambiamento climatico.
Questa è la 27esima volta che i paesi si riuniscono nell’ambito della Convenzione, da qui COP27.
Qual è l’obiettivo della COP27?
L’obiettivo finale della conferenza di quest’anno è ancora in fase di discussione. I Paesi ricchi vogliono concentrare gli sforzi su come aiutare i Paesi in via di sviluppo a eliminare gradualmente i combustibili fossili e passare alle energie rinnovabili.
I secondi chiedono invece maggiori fondi per affrontare i disastri ambientali che stanno vivendo. In particolare, vorrebbero un nuovo fondo per finanziare interventi come il trasferimento di villaggi vulnerabili o per recuperare la crescita economica andata persa a causa di inondazioni, tempeste e ondate di calore. Le nazioni industrializzate si sono opposte all’istituzione di un nuovo fondo, spiega il Post, in parte perché temono di essere ritenute legalmente responsabili dei danni causati dal cambiamento climatico.
Chi parteciperà alla COP27?
Secondo l’organismo delle Nazioni Unite per il clima, sono attesi oltre 35.000 delegati, tra cui oltre 100 capi di Stato. Si tratta di un numero inferiore rispetto al vertice dell’anno scorso a Glasgow, che ha riunito 120 leader mondiali e oltre 40.000 partecipanti registrati. Ma per un’edizione in cui non sono previste decisioni importanti si tratta comunque di un buon riscontro.
Ci saranno proteste?
Le proteste sono parte integrante delle conferenze annuali. Nelle passate edizioni gli attivisti hanno organizzato marce, scioperi della fame, sit-in e altre forme di disobbedienza civile per sottolineare l’urgenza della crisi climatica.
Quest’anno molti egiziani chiedono di protestare per denunciare il mancato rispetto dei diritti umani in Egitto. Ma siccome il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha sostanzialmente vietato tutte le manifestazioni e criminalizzato la libertà di riunione, appare improbabile che si svolgano proteste.
Cosa è successo alle COP precedenti?
La prima COP si è svolta a Berlino nel 1995, dopo che diverse nazioni avevano ratificato la Convenzione sul clima. È stato un momento fondamentale che ha posto le basi, due anni dopo, per la firma del Protocollo di Kyoto, che all’epoca rappresentava un risultato storico.
Il Protocollo di Kyoto imponeva di ridurre le emissioni ai Paesi ricchi e industrializzati , mentre i Paesi in via di sviluppo – tra cui economie emergenti come Cina, India e Brasile – avrebbero ridotto le emissioni su base volontaria.
Un altro momento fondamentale è stato l’accordo siglato nel 2015 a Parigi durante la COP25. Sebbene però i leader abbiano fatto grandi promesse in quell’occasione, non hanno poi intrapreso azioni sufficienti a scongiurare i peggiori effetti del cambiamento climatico. A Glasgow, l’anno scorso, le nazioni si sono impegnate a essere ancora più ambiziose e alcune (troppo poche) lo sono anche state. Scienziati, attivisti e molti leader mondiali concordano sulla necessità di una maggiore ambizione nonostante i Paesi stiano iniziando a rispettare i piani di riduzione delle emissioni.
Perché l’obiettivo di 1,5 gradi è importante?
È la soglia oltre la quale, secondo la comunità scientifica, aumenta molto la probabilità di impatti climatici catastrofici, come ondate di calore mortali, scarsità d’acqua, perdite dei raccolti e collasso degli ecosistemi. Finora il pianeta si è già riscaldato di circa 1,1 gradi.
(Foto di Ivan Radic su flickr)
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