Torniamo sulla vicenda del giornalista Gabriele Del Grande, perché dopo gli appelli e le parole di speranza, è il momento della mobilitazione. Le manifestazioni per la richiesta del suo rilascio sono cominciate ieri e proseguiranno nei prossimi giorni in tutta Italia (ma c’è stato chi ha deciso di attivarsi anche a Berlino). Questa pagina di Vita raccoglie le principali di cui si è a conoscenza, ma ormai l’organizzazione si è fatta virale, quindi per avere notizie più aggiornate la cosa migliore è affidarsi ai social network.

La pagina Facebook del documentario co-diretto da Del Grande, Io sto con la sposa è costantemente aggiornata con le ultime notizie relative alla detenzione del giornalista, nonché quelle sulle tante iniziative di mobilitazione che stanno nascendo in queste ore. Se poi non trovate nessun evento organizzato nella vostra zona, potete attivarvi direttamente per metterne in piedi uno. Su questo i tanto demonizzati social network sono uno strumento potentissimo, sfruttiamolo. Gli elementi su cui si fondano le manifestazioni sono sintetizzati sulla stessa pagina Facebook, e derivano dai contenuti dell’unica telefonata che Del Grande è riuscito a fare da quando è detenuto, in isolamento, in un centro di identificazione ed espulsione turco.

Questi gli “estremi” per organizzare le manifestazioni: «Cosa si richiede? Chiediamo alle autorità italiane di far pressione presso le autorità turche perché rilascino Gabriele Del Grande quanto prima, e che immediatamente gli vengano garantiti i diritti minimi quali: – colloquio con un avvocato; – incontro con autorità consolare; – possibilità di telefonare; – ragione del fermo; – tempo del trattenimento/data prevista per l’espulsione. Per tutte le comunicazioni, l’hashtag è #iostocongabriele. Il banner utilizzato per gli eventi può essere ripreso e replicato. Se volete organizzare un’iniziativa nella vostra città, comunicatecelo e cercheremo di aggiornare un calendario degli eventi. Vi chiediamo di evitare manifestazioni o presidi davanti ai consolati e all’ambasciata Turca, per non creare tensioni in una fase così delicata». Sui primi due punti c’è stato un piccolo passo avanti, e oggi dovrebbe essere concessa a Del Grande la possibilità di incontrare il legale turco che si sta occupando del suo caso e il console italiano.

L’arresto del giornalista lucchese è avvenuto il 9 aprile (due giorni dopo il suo arrivo in Turchia), la telefonata il 18 aprile. Prima e dopo un totale isolamento, che rende drammatica l’attesa innanzitutto per lui, che non può sapere nulla della grande mobilitazione (anche e soprattutto diplomatica) che il suo caso sta generando. E poi per tutti noi, che non sappiamo se a Gabriele sono garantiti i diritti basilari di ogni detenuto. Nel frattempo, Del Grande ha deciso di rinunciare a uno di tali diritti, quello al cibo, annunciando uno sciopero della fame iniziato la sera stessa della telefonata. Una scelta che fa capire la sua determinazione affinché sia fatta luce sulla vicenda, ma che genera preoccupazioni sul suo stato di salute.

Del giornalista abbiamo parlato più volte in passato, la prima in occasione dell’uscita del documentario Io sto con la sposa. La seconda volta che gli abbiamo dedicato un articolo è stato proprio per raccontare l’apertura della campagna di crowdfunding per il progetto di cui si stava occupando quando è stato arrestato. Da qualche giorno infatti era iniziato il suo viaggio verso il Medio Oriente, alla ricerca di storie di gente comune, attraverso cui fornire un racconto della guerra in Siria e della nascita dell’Isis. Il tutto confluirà (usiamo l’indicativo, nella speranza che il progetto possa comunque proseguire dopo questo incidente) in un libro, che si intitolerà Un partigiano mi disse.

È bene specificare che Gabriele Del Grande, nonostante l’età relativamente giovane (35 anni), non è uno che si sta improvvisando nel mestiere. In Siria è già stato cinque volte dall’inizio del conflitto (qui un suo reportage per Internazionale), parla arabo e dal 2006 redige un blog (http://fortresseurope.blogspot.it/) in cui tiene la contabilità delle persone morte nel tentativo di raggiungere le coste dell’Europa, dal 1988 al 2016. Il suo interesse per le storie personali di chi si trova nel mezzo di grandi eventi storici è nata con quell’esperienza: «Ventimila morti non vuol dire niente, Mariam o Adama vogliono dire tutto. Vogliono dire un nome, una persona, una vita». Così scriveva lui stesso su Vita nel 2014.

Ci auguriamo che il suo caso si risolva presto, e che la sua vicenda sia d’aiuto per attirare l’attenzione internazionale sulle migliaia di persone detenute in Turchia a seguito del tentato colpo di Stato avvenuto a luglio dello scorso anno. Centinaia di giornalisti, ma anche insegnanti, impiegati statali e politici, arrestati perché sospettati di essere contrari al presidente Erdo?an. Come scrive Ahmet Altan, scrittore ed editore detenuto dal 23 settembre: «Che io sappia, nella legge contano i fatti, e, se un fatto costituisce un crimine, se ne portano le prove. Io sto affrontando un’accusa terribile per la quale non c’è alcuna prova».

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